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giovedì 18 Aprile 2024
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“Di Maio? Non è male come ministro…”

“Capisce, Dialoga, ascolta. Non ho un giudizio negativo su Luigi Di Maio e non condivido questo atteggiamento, fin troppo facile, di dire che non sono all’altezza”. Non sono applausi scoscianti quelli di Massimo D’Alema al Ministro degli Esteri ma neanche fischi.  “Sono stati scelti dagli italiani” ha proseguito riferendosi sempre al M5S. “Gli ultimi al mondo che possono disprezzare in nostri governanti sono gli italiani che li hanno eletti”. L’occasione per parlare non solo di questo ma, più in generale, della politica estera italiana, è stata “Polittica”, la scuola di formazione promossa a Bari dall’associazione “La giusta causa”. Durante l’incontro di ieri sera, al teatro “AncheCinema”, Massimo D’Alema ha aperto l’album dei ricordi partendo, però, dall’attualità: le difficoltà degli ultimi governi nelle relazioni internazionali.

“Si chiama Politica estera, non è una attività tecnica” ha affermato. “Richiede un indirizzo politico di un governo politico”. In due casi in particolare, per Massimo D’Alema, questa assenza sarebbe stata dannosa non solo per l’Italia ma anche per la comunità internazionale: “Avremmo dovuto avere una via italiana alla pacificazione della Libia” ha spiegato. “C’era anche aspettativa verso il nostro paese ma non c’è stata nessuna iniziativa concreta”. Infine la Cina: “Il governo Conte ha firmato un inopinato accordo che ha fatto dell’Italia l’unico paese del G7 a firmare con loro un accordo politico: la nuova via della seta. I cinesi si aspettavano l’inizio di un percorso di collaborazione che non solo non c’è stato ma siamo diventati punta di diamante della retorica anticinese. Ci siamo resi promotori anche di concrete iniziative dannose per i loro interessi colpendo l’attività di Huawei. Io non avrei firmato quell’accordo”.
Dal passato di Massimo D’Alema è riemerso anche uno dei momenti più delicati della politica estera italiana degli ultimi trent’anni e, in particolare, della sua esperienza alla Farnesina: la scelta di partecipare alla guerra in Kosovo.
“Come italiani” ha affermato “ci siamo presi carico del problema albanese. Siccome non si riteneva all’epoca che le persone, i profughi, si potessero buttare a mare, ci ponemmo il problema di contribuire a dare stabilità a quel paese. Ci prendemmo una responsabilità, fino a quella più drammatica: la partecipazione all’azione della Nato per obbligare le forze para militari serbe a liberare il Kosovo. Intervenimmo in una guerra che c’era già nell’ex Jugoslavia ma noi non siamo mai stati tra quelli che favorirono la disgregazione”.
Massimo D’Alema ha ripercorso gli attimi più complicati di quella decisione. “Mi arresi alla decisione inevitabile dopo essere andato al confine tra Kosovo e Albania, aver visto la massa di profughi e aver sentito i racconti di quella che era la pulizia etnica in corso” ha ricordato. “Il presidente degli Stati Uniti (Clinton, ndr) mi disse: noi ci rendiamo conto della delicatezza della vostra situazione e non vi chiediamo di partecipare, è sufficiente che mettiate a disposizione le basi militari. Mi opposi. Ho avuto dei dubbi ma se questa azione militare si doveva fare non potevamo essere opportunisticamente solo una portaerei. Avremmo condiviso la responsabilità morale della guerra ma senza poi poter dire la nostra. Per questo, con il consenso della maggioranza, mi presi la responsabilità della partecipazione diretta delle forze armate italiane ma mantenendo aperta la via di una soluzione politica del conflitto”. Una scelta che si concretizzò anche con la permanenza a Belgrado dell’ambasciata italiana. “Fummo gli unici dell’occidente”, ha sottolineato D’Alema. “Ci rendemmo protagonisti di una iniziativa politica coinvolgendo anche i russi. Informando gli americani, non di nascosto. Mantenni aperto un dialogo con Milosevic: bombardavamo ma poi la sera telefonavo. Fummo noi a convincere il presidente serbo a liberare Ibrahim Rugova, l’uomo della pace che ebbe un ruolo centrale nella stabilizzazione. La guerra a volte è inevitabile” ha concluso D’Alema “ma non può mai sostituirsi alla politica”.
Gli incontri della scuola di formazione “Polittica” proseguiranno oggi a Bari al Teatro Margherita con Michele Emiliano (“Civismo o trasformismo?” alle 17.30), Laura Gribaudo e Gianna Fracasso (“Salario minimo e reddito di cittadinanza”, ore 19) e Simone (“Paradise”, ore 20.30).

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