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domenica 8 Settembre 2024
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Camille Thomas a Bari: «Dedico la mia vita alla musica. L’Opera? Non sia solo per l’élite» – L’INTERVISTA

«Vorrei facessimo l’intervista nella “Sala Cielo” del teatro». È così che, arrivato al “Kursal”, mi ritrovo con Camille Thomas, talentuosa violoncellista di fama internazionale, nell’ascensore che lentamente ci porta verso la splendida stanza/opera concepita dall’artista Alfredo Pirri. Luce, tanta. Un celeste interminabile. E i grandi occhi azzurri di Camille che si confondono, mescolandosi, tra il tetto e il pavimento della stanza. La musicista nata a Parigi, si è esibita a Bari martedì, con l’orchestra Ayso.

Com’è iniziato il tuo percorso musicale?

«Avevo 4 anni. Ho chiesto ai miei di poter suonare uno strumento. Appena ho visto il violoncello è stato amore. Ricordo di averne sentito il suono e aver detto “voglio questo”. E oggi sono qui».

Che rapporto hai con il tuo strumento?

«È la mia vita, una parte di me».

Ci sono tanti musicisti che sono ossessionati dall’oggetto, un rapporto viscerale…

«Non è mai stato così per me, prima di avere l’onore di avere uno Stradivari. Ora sento quella che chiami “ossessione” per questo strumento. È pazzesco, sento tanto la responsabilità di questo incredibile pezzo d’arte italiana. Siamo una cosa sola».
Preferisci dedicarti alle sessioni in studio di registrazione o stare sul palco?
«Tutta la mia vita è dedicata all’essere sul palco, a condividere quello che amo con il pubblico. Non c’è musica senza pubblico. Quello che mi rende felice è donare bellezza a chi ascolta. Non suono per me stessa, performo molto meglio se lo faccio per qualcun altro».

Quanti sacrifici richiede il tempo che passi a studiare sul violoncello?

«La vera arte passa dai sentimenti. Ma lo studio, che sicuramente richiede grandi sacrifici, è qualcosa di fondamentale per avere dentro la padronanza dei brani. Più riesci a fare tuo un pezzo, più sarai espressivo e comunicativo nell’esecuzione».

A fine ‘800 l’opera era il corrispettivo della televisione oggi: intrattenimento per il popolo. Nel tempo si è trasformata in qualcosa di “fancy”, di ricercato, di elegante…

«Non sapevo esattamente che tipo di approccio ci fosse in Italia a riguardo. Ero a Martina Franca all’apertura del festival dell’Opera. Tutti erano vestiti elegantissimi, l’ho trovato toccante, un grande segno di rispetto verso la musica. Mi sembrava di essere al Festival di Cannes (ride ndr). Ma d’altra parte non bisogna pensare che l’Opera sia qualcosa d’élite, solo per ricchi. Uno dei miei obbiettivi è proprio questo: portare la musica classica ad un pubblico più eterogeneo possibile».

Pensi davvero che la musica classica sia qualcosa di accessibile a tutti?

«Assolutamente. Altrimenti non sarebbe sopravvissuta. Come un quadro, come un importante pezzo d’arte. È pura bellezza, ci appartiene profondamente».

Probabilmente il range medio del pubblico del concerto stasera sarà tra i 45 e i 65 anni. Pensi ci sia modo di avvicinare i più giovani alla musica classica?

«Ne sono convinta. Oggi abbiamo un aiuto fondamentale in questo dai social. Sono molto contenta quando i giovani vengono da me dopo i concerti e mi dicono “Hey, ti ho sentita suonare su instagram e sono venuto a sentirti”».
Sono così importanti i social media per la tua carriera?
«Non mi piace la parola “carriera”…»

Perché?

«Perché così suona come se la musica fosse un lavoro».

E non lo è?

«No. È una parte di me, mi completa. Non potrei vivere senza».

Ma è anche un lavoro…

«Sì, hai vinto (ride ndr). Nel tempo ho scoperto che è anche un lavoro. Ma non mi piace comunque la parola “carriera”. Tornando alla tua domanda: i social sfondano una porta importante della comunicazione. Una cosa che invidio ai concerti rock è la possibilità di dialogare con il pubblico. A volte provo a parlare con chi è seduto ad ascoltare il concerto, a renderli partecipi. Nessuna barriera tra palco e platea, è stupendo. Quando dopo aver suonato mi capita di confrontarmi con la gente, di ascoltare le loro storie, è come ricevere dei fiori, mi sento anche meno sola».

Io suono folk music. Nessuno ti regala fiori dopo un concerto folk, non conosco questa sensazione

«Ora la consoci (ride ndr)».

Qual è il concerto che non dimenticherai mai?

«È stato durante la pandemia. Ero a Parigi, sul mio terrazzo, e ispirandomi alla gente che in Italia cantava sui balconi ho trasmesso una performance in streaming. Su quel tetto c’ero solo io ma, grazie ai social, era come avere lì milioni di persone».

Sei sempre in viaggio per i tuoi tour. Raccontami qualcosa di divertente che ti è successo…

«Viaggio ovviamente sempre con il mio violoncello. E non posso imbarcare uno strumento così prezioso. Quindi ogni volta che prendo l’aereo compro due biglietti, uno per me e uno per lui (sorride ndr)».

I prossimi viaggi in programma?

«Germania, Macedonia, ancora Italia, in Toscana, Giappone, America…

Sei impegnatissima.

«Sì, sto viaggiando un sacco e organizzando tante session di registrazione. È parte del mio… lavoro (ride ndr)».
Vedi, siamo tornati alla parola “lavoro”…
«Diciamo allora che è parte di “quello che faccio”. Comporre, creare, lo amo».

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