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domenica 1 Settembre 2024
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Il Grande Salento tra visioni e realtà. La ricerca storica di Lino De Matteis

L’idea del ‘Grande Salento’, nata nel secolo scorso, non si è mai concretizzata per i tanti localismi, campanilismi e divisioni politiche, anche sulle ragioni e sugli scopi. Lino De Matteis, nel libro ‘Storia del Grande Salento’, traccia le origini di una possibile identità del territorio che in realtà già nell’antichità mostrava diversità tra popolazioni.

La sua è molto più di una difesa appassionata di un territorio che accomuna le tre provincie di Brindisi, Lecce e Taranto – le metto rigorosamente in ordine alfabetico – , De Matteis si dichiara consapevole che, “date le dimensioni della penisola salentina, alcuni, fondamentali, problemi sono trasversali al territorio e si possono risolvere solo insieme, con una visione complessiva e un’azione sinergica, si pensi ai trasporti, all’ambiente e al turismo, solo per citare quelli ritenuti prioritari. Le infrastrutture sono il presupposto vitale per lo sviluppo di un territorio, e i romani lo avevano capito già duemila anni fa. Strade, ferrovie, porti e aeroporti non riguardano le singole province, ma sono il collante necessario per rendere più competitiva l’intera penisola salentina, migliorando la mobilità interna e il collegamento con le grandi arterie europee e mediterranee”.
L’idea sostenuta da De Matteis è quella di un progetto confederativo, che lasci intaccate le autonomie delle singole province, ma senza diventare Regione Salento, di cui pur si iniziò a parlare nella Costituente, e che fu respinta dai padri fondatori.

In verità, durante il percorso della cosiddetta ‘prima repubblica’, di identità e di progetti di sviluppo della penisola salentina se ne parlò molto, in prima fila il ministro Claudio Signorile. Dovremmo però dire che la stessa composizione dei collegi territoriali per le elezioni alla Camera dei Deputati, favoriva questo discorso, anzi lo rendeva identitario e necessario. I cambiamenti dei collegi elettorali e le riforme della legge elettorale hanno impoverito molto questo concetto.
Le stesse opere infrastrutturali invocate sono molto spesso realizzate con progetti interregionali, che hanno coinvolto aree più vaste, grazie all’impegno primario dello Stato, superando campanilismi che restano, però, sempre vivi sotto la cenere.

Si pensi all’annosa questione dell’acqua. Puglia sitibonda, scrivevano i nostri padri. Senza l’Acquedotto Pugliese, non solo la Puglia, ma il Salento soprattutto sarebbe rimasto all’asciutto, non solo nelle città, nelle campagne, ma anche nelle industrie che sono nate per investimenti dello Stato, che senz’acqua non avrebbero potuto esistere.

E l’acqua in Puglia viene da lontano, dalla Campania, dal Molise, dalla Basilicata, dove, altri interventi dello Stato hanno realizzato gallerie, invasi e condotte, senza riuscire a superare i campanilismi, che a volte tornano dirompenti, la cosiddetta ‘guerra dell’acqua’.

Insomma, la storia insegna, che i localismi non fanno le infrastrutture. È giusto, però, sacrosanto direi, che un territorio rivendichi il diritto al proprio sviluppo, partendo necessariamente da una identità condivisa.

Lino De Matteis è innamorato del suo Salento, che già all’epoca dei normanni e poi di Federico II di Svevia, veniva chiamato ‘Terra d’Otranto’, distinguendo la Puglia dalla ‘Terra di Bari’ e dalla ‘Capitanata’.

“Negli atti ufficiali amministrativi del Regno d’Italia, – scrive De Matteis – per indicare la regione Puglia si usava il plurale, le Puglie, con evidente riconoscimento di una secolare suddivisione del territorio regionale, storicamente tripartito tra Terra d’Otranto, Terra di Bari e Terra di Capitanata. L’espressione culturale sopravvisse a lungo nell’uso comune, anche dopo che, con la Costituzione del 1948, venne ufficialmente istituita la Regione Puglia”.

Fu il fascismo, ricorda l’autore, a suddividere il territorio nelle tre province attuali. Anche se nello stesso periodo non mancarono “le pubblicazioni giornalistiche le cui testate facevano riferimento al toponimo, come ‘Il Nuovo Salento’ (1923), ‘Corriere Salentino’ (1924), ‘Il Popolo del Salento’ (1924), ‘Il Faro Salentino’ (1931), ‘Il Corriere del Salento’ (1932), ‘Rinascenza Salentina’ (1933) , e altre ancora. Il termine fu usato, anche, per denominare le milizie locali delle camicie nere, come la ‘Legione Salentina’, di cui c’è traccia nei labari e in alcune medagliette commemorative, ancora reperibili tra i collezionisti”.

L’attività editoriale nel Salento, è giusto dire, è stata sempre ricca e sempre preoccupata di valorizzare il territorio, la cui storia è entusiasmante e fascinosa.

“La penisola salentina può vantare il primato di essere stata riprodotta nella più antica carta geografica occidentale di cui si abbia conoscenza: la ‘mappa di Soleto’, …un importante reperto della contaminazione culturale e linguistica tra greci e messapi… Si tratta di un pezzo di coccio, una ‘crasta’ in dialetto locale, un òstrakon in greco, che significa ‘conchiglia’, ma nel mondo ellenico indicava anche frammenti di ceramica utilizzati come schede elettorali per infliggere le pena dell’ostracismo. Risalente al V secolo a.C., dalle dimensioni di appena centimetri 6 x 3, la mappa di Soleto consiste in un frammento di terracotta di un più grande vaso attico, sul cui sfondo, smaltato in nero, è inciso il profilo della parte terminale della penisola salentina, quella che i greci chiamavano capo iapigio, oggi capo di Leuca”.

“Rileggere le origini più remote del Salento, – scrive sempre De Matteis – secondo una prospettiva indigeno-centrica, significa ripercorrere la storia di questo territorio dal punto di vista dei nativi salentini e della loro identità. Una identità forgiata da millenni di permanenza stanziale, indipendentemente da quale fosse la loro origine, da dove venissero e di come si chiamassero o fossero chiamati”.

Differenze etimologiche, antropologiche e storiche, che permangono nei territori delle tre province, e che per molti non si possono accomunare, a parte i campanilismi. Ci sono poi differenze geologiche e naturali, che si aggiungono alle differenze culturali e politiche, e rimarcano differenze socio-economiche, che non consentono omogeneità. Si pensi alla Valle d’Itria e al territorio di Fasano, alla Murgia tarantina, alla Terra delle Gravine.

Difficile comprenderli in un ‘Grande Salento’, mentre escluderli restringerebbe molto il territorio.
Secondo De Matteis, è stata la tripartizione del territorio della Terra d’Otranto in tre province a permettere “il diffondersi e radicalizzarsi di tendenze localistiche e favorendo la crescita di interessi particolari, alimentati da provincialismi e campanilismi… Provincialismo e competitività tra i territori erano diventati, ormai, per i salentini, un dato intrinseco al sentimento di identificazione e di appartenenza alle rispettive province”.

Ma un certo spirito confederativo, afferma l’autore, comincia a farsi strada: “Per rilanciare l’ateneo leccese, si ricostituì, il 25 marzo 2002, il ‘Consorzio universitario interprovinciale salentino’, con la partecipazione di enti ed istituzioni delle tre province di Brindisi, Lecce e Taranto. Con lo stesso spirito, nel 2007, l’ateneo leccese cambiò nome, diventando ‘Università del Salento’”.

Così come a Taranto si è proceduto all’istituzione di una ‘Agenzia per lo sviluppo dell’area jonico salentina’, secondo quanto previsto da un Protocollo tra le Province: “La costituzione dell’Agenzia rappresentava, insieme al Protocollo, il vero elemento di novità, in quanto, per la prima volta, i tre enti provinciali decidevano di affidare a un soggetto terzo il compito di coordinare tecnicamente gli impegni di spesa per lo sviluppo delle infrastrutture comuni”.

Poi è giunta la riforma Delrio, che ha “declassato (le Province) “a enti di secondo livello, in quanto il presidente e il consiglio provinciale non verranno più eletti direttamente dai cittadini, ma dai sindaci e dai consiglieri comunali dei Comuni ricadenti nel loro territorio, sia perché vennero private di buona parte delle funzioni che svolgevano prima, trasferite a Comuni e regioni, e dei relativi finanziamenti”.

Credo che la riforma Delrio non tolga nulla ai Comuni della possibilità di consorziarsi per sostenere lo sviluppo dei propri territori e meglio organizzare i servizi ai cittadini. Questa è forse una strada obbligata per il futuro, non solo per risparmiare spese che si ripetono, ma per partecipare a progetti di sviluppo e investimento europei, sempre più finalizzate a territori omogenei.

Insomma non guarderei con pessimismo al mondo che cambia. Al di là delle formule e della forma, che molto spesso divide per sua natura, si può concordare con Lino De Matteis che “emerge, realistica e naturale, l’esigenza e l’urgenza, di mettere in campo un progetto confederativo per il Grande Salento, che tenga insieme le tre province di Brindisi, Lecce e Taranto, senza intaccare la loro autonomia e individualità, ma creando una forte e virtuosa sinergia collaborativa capace di crescere l’intera penisola salentina… Alla classe dirigente salentina la responsabilità di dimostrare di saper guardare lontano, oltre i propri interessi particolari, per il bene collettivo”.
Ai posteri l’ardua sentenza.

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