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Ddl sulla carne coltivata: lo “strano” uso a Roma del principio di precauzione

Il rapporto tra sviluppo tecnologico, diritto e governo pubblico della sicurezza alimentare è un costante della disciplina agraristica, storico strumento di innovazione istituzionale e delle disposizioni che regolano il sistema democratico dell’Unione Europea.

La produzione agro-alimentare, infatti, ha sempre avuto enorme rilevanza mediatica, involgendo il tema dei public goods ed i concetti di pericolo e rischio, percepiti con una certa ambiguità dai consumatori. Il Ddl “Carni Sintetiche” si inserisce nell’ambito del macro tema dell’innovazione tecnologica nella produzione alimentare.

Nella conferenza stampa di presentazione del disegno di legge, il ministro della Salute Schillaci ha affermato che il disegno di legge «si basa sul principio di precauzione, perché al momento non ci sono evidenze scientifiche sui possibili effetti dannosi dei cibi sintetici»; ancora, «il diritto di precauzione ci permette di normare e di dire che, finché non c’è certezza della salubrità di un alimento, non viene commercializzato e importato in questa Nazione», ha dichiarato il ministro Lollobrigida.

Ma cos’è il principio di precauzione? Il principio di precauzione in materia alimentare è sancito dall’art. 7 del Reg. Ce n. 178/2002 e stabilisce che qualora, in circostanze specifiche ed a seguito di una valutazione delle informazioni disponibili, venga individuata la possibilità di effetti dannosi per la salute, ma permanga una situazione d’incertezza sul piano scientifico, possono essere adottate le misure provvisorie di gestione del rischio necessarie per garantire il livello di tutela della salute.

Le misure adottate sulla base del principio di precauzione sono proporzionate e prevedono le sole restrizioni al commercio che siano necessarie a raggiungere il livello di tutela della salute. Un modello di gestione del rischio, quindi, per cui, qualora sia possibile che una determinata politica o azione possa arrecare danno ai cittadini o all’ambiente e qualora non vi sia ancora un consenso scientifico sulla questione, la politica o l’azione non dovrebbe essere perseguita.

Il tutto nel bilanciamento tra le esigenze del mercato unico e la tutela della salute e dell’ambiente. Regola generale della legislazione alimentare è che, nelle procedure di autorizzazione all’immissione in commercio di prodotti, spetta al richiedente o al notificante (impresa) dimostrare che l’oggetto della domanda rispetta le prescrizioni legislative ed è sicuro. Si chiede agli operatori di presentare gli studi pertinenti allo scopo di dimostrare la sicurezza e l’efficacia dell’oggetto della richiesta. L’onere della prova è quindi a carico del richiedente; al contrario, spetterà alle autorità pubbliche dimostrare la pericolosità al fine di vietare la commercializzazione del prodotto.

Più volte la Commissione europea ha sottolineato che il principio di precauzione può essere invocato solo nell’ipotesi di un rischio potenziale, e che non può in nessun caso giustificare una presa di decisione arbitraria. La precauzione è pertanto giustificata solo quando riunisce tre condizioni, ovvero l’identificazione degli effetti potenzialmente negativi, la valutazione dei dati scientifici disponibili e l’ampiezza dell’incertezza scientifica. Infine, come ha evidenziato una recente sentenza del Consiglio di Stato, il principio di precauzione costituisce non solo un presupposto di legittimazione ma anche un vero e proprio parametro di validità per tutte le politiche e azioni europee, il principio diventa quindi un vero e proprio parametro di legittimità della funzione normativa ed amministrativa.

Così brevemente riassunto, anche il lettore più distratto non potrà non notare i gravi cortocircuiti logico-giuridici del disegno di legge e l’uso distorto dello strumento precauzione, vista l’assenza di un prodotto validamente commercializzabile nell’Unione e vista l’assenza di studi scientifici a supporto del disegno di legge. Una nebbia logico-giuridica finalizzata a chiari scopi politici. Seppur illegittima, la proposta di legge non appare meno dannosa: il Refit 2018 sulla legislazione europea ha evidenziato la necessità di accrescere la fiducia dei cittadini nel governo della sicurezza alimentare, obiettivo da raggiungere attraverso una migliore comunicazione del rischio ed il coinvolgimento di cittadinanza e Terzo Settore nel processo di analisi del rischio. Un’esplicita richiesta di trasparenza e responsabilità come contenuti essenziali del governo della sicurezza alimentare, sfociata nel Reg. UE 2019/1381, alla quale il nostro Paese ha risposto con un modello di irrazionalismo di potere, spregiudicato e politicamente tossico.

Vitantonio Barnabà è avvocato – Filiera21, Associazione per l’Agroalimentare

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