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domenica 29 Settembre 2024
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La semplificazione può portare incertezza

Parafrasando un termine medico si potrebbe chiamarla “sindrome del legislatore irrequieto”. È la successione, vorticosa, di leggi e normative in materia di appalti pubblici (lavori, servizi, forniture) che ha portato, a un decennio dall’entrata in vigore del Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture (d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163) al nuovo, ma ormai non più nuovissimo, Codice dei contratti pubblici (d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50).
Appena sei anni dopo, e ulteriori interventi legislativi integrativi e correttivi, con la legge 21 giugno 2022, n. 78 il governo è stato delegato a emanare una riforma ulteriore del codice dei contratti pubblici sempre con la finalità ormai passe-partout e formula quasi esoterica o comunque sacramentale della semplificazione dei procedimenti.
L’esperienza suggerisce che l’obiettivo della semplificazione, già perseguito dal codice del 2016, può portare a ulteriori complicazioni e incertezze. L’esigenza di recepire le direttive dell’Unione Europea in una materia nevralgica per il sistema economico, e nel quadro di una piena integrazione dei mercati, giustifica la turbolenta evoluzione legislativa, e si arricchisce di urgenze ulteriori come l’attuazione degli interventi finanziati dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr).
A proposito di quest’ultima, che costituisce una delle motivazioni della legge delega n. 78/2022, risale a pochi giorni addietro – i lettori di questo quotidiano ne hanno avuto notizia in relazione alle sue immediate ricadute su un giudizio amministrativo in corso- il decreto legge 7 luglio 2022, n. 85 con cui è stata introdotta (art. 3) una disciplina speciale per i processi amministrativi che riguardano “qualsiasi procedura amministrativa” -non solo quindi, ma anche gli appalti- attinente interventi finanziati “in tutto o in parte” con le risorse del Pnrr. In sostanza si prevede che eventuali ordinanze del giudice amministrativo che “blocchino” una di queste procedure – tecnicamente le sospendano in attesa di un giudizio finale sul ricorso- debbano giustificare la compatibilità della sospensiva con il “rispetto” della tempistica del Pnrr e che la decisione finale con sentenza debba essere emanata entro un termine assai breve. In definitiva, nonostante il giudizio sugli appalti sia, già nel codice del processo amministrativo, caratterizzato da molto brevi -si parla di rito accelerato, in taluni casi super accelerato-, si introduce un nuovo rito quasi “direttissimo”.
Sullo sfondo resta il problema di assicurare una effettiva e piena tutela -come esigono i principi costituzionali- in un contesto processuale in cui si rischia di sacrificare il diritto di difesa e all’equo processo ad una cognizione più che sommaria, forse solo “impressionistica”.
Il mito della semplificazione si rovescia in chiave processuale in quello della sommarietà, in un ambito normativo complesso, nel quale si stratificano norme comunitarie, nazionali, regionali, regolamenti, indirizzi della giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea e delle Corti nazionali. La complessità, per quanto entro certi limiti inevitabile, non aiuta l’efficienza delle procedure amministrative, né la certezza e stabilità delle soluzioni in giudizio delle controversie, e tanto meno il rispetto dei tempi e la qualità dell’esecuzione dei contratti.
Se a monte vi sono problemi di garanzia della qualità dei progetti e della legalità delle procedure, e quindi di evitare il mercimonio dell’affidamento degli appalti di cui tanti echi riporta quotidianamente la stampa- a valle resta il tema di un controllo vero, serio, efficace sulla esecuzione degli appalti, tra ritardi, impiego di materiali non conformi, opere incompiute o realizzate male. Senza un impegno serio e responsabile di tutti gli attori pubblici e privati -le imprese devono fare la loro parte e saper isolare gli operatori incapaci e/o disonesti- ogni riforma è libro dei sogni.

Leonardo Spagnoletti
Presidente Quinta Sezione del Tar Lazio

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