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giovedì 10 Ottobre 2024
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«Serve un intervento legislativo di coordinamento in materia»

Magistrato in pensione, già procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Macerata ed incaricato di diritto penale all’Università Lum, Giovanni Giorgio vede nell’intervento del Parlamento l’unica soluzione definitiva sul conflitto tra reati tributari e d.lgs. n. 231/2001.

Professore, cosa ne pensa del provvedimento di archiviazione della Procura di Milano che sta facendo discutere gli esperti?

«Occorre tener presente che l’archiviazione, ben argomentata, è sostenuta da più argomenti. Ed infatti, si è ritenuto “giusto” tener conto – ai fini dell’archiviazione – non solo della severità della sanzione tributaria già irrogata, valutata come adeguata rispetto alla gravità del fatto, ma anche – ed in modo decisivo – dell’attività riparatoria, attuata complessivamente dalla società dopo la commissione del fatto illecito e svolta con finalità: sia compensativa rispetto al danno arrecato anche ai lavoratori, sia preventiva rispetto al rischio di reiterazione di illeciti analoghi a quelli già contestati. Non è solo un tema di sussistenza del divieto di bis in idem processuale, ma di valorizzazione, come concausa essenziale, di archiviazione delle condotte “riparatorie” attuate dalla società e ben descritte nel provvedimento».

Lei ritiene che fossero praticabili altre vie per affermare principi così importanti?

«In un caso come questo, il giudice nazionale, non il Pubblico Ministero, potrebbe sollevare questione di costituzionalità o adire direttamente la Corte di Giustizia, nel caso individui norme interne che non gli appaiano rispettose del principio di proporzionalità; come potrebbe essere il l’art. 12 del d.to l.vo n. 231/01, che contempla la sola ipotesi di riduzione delle sanzioni irrogabili a carico dell’ente e non un esonero totale dalla responsabilità, come invece previsto dall’art. 131-bis c.p., che prevede la possibilità di ottenere una pronuncia di proscioglimento nel caso in cui la condotta criminosa risulti di “particolare tenuità” valorizzando le condotte “virtuose” post delictum dell’indagato».

È un provvedimento che possiamo ritenere definitivo pur non essendo una sentenza?

«Non si tratta di un provvedimento né di una sentenza definitivi o emessa dalle nostre corti superiori, con ogni intuibile conseguenza. Per prima cosa sarà interessante verificare se la Procura Generale presso la Corte di Appello di Milano, cui il provvedimento è stato trasmesso ai sensi dell’art. 58 d.to l.vo n. 231/01, condividerà le valutazioni della Procura della Repubblica milanese o se riterrà -al contrario – di contestare l’illecito amministrativo all’impresa interessata, sì da giungere all’udienza dinanzi al giudice dell’udienza preliminare di cui all’art. 61 d.to l.vo cit., magari anche per sollevare questione di legittimità costituzionale o per chiedere che sia adita la Corte di Giustizia».

Quale secondo lei e la sua esperienza sarebbe la migliore soluzione?

«Come hanno già affermato esperti della materia, credo fermamente che la migliore soluzione debba avvenire a monte mediante un intervento legislativo di coordinamento in materia. Permetterebbe di risolvere definitivamente la questione, nel pieno rispetto della separazione dei poteri ed evitando soluzioni giurisprudenziali “creative”, per quanto apprezzabili, perché argomentate ed emesse in bonam partem».

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