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Alle imprese servono più certezze

La notizia sarebbe anche positiva: il ministro del Lavoro ha firmato il decreto che destina un miliardo di euro alle imprese impegnate a gestire la transizione ecologia e quella digitale. Manca solo l’ok da parte del ministero dell’Economia per far sì che l’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro, entro ottobre, possa pubblicare l’avviso che permetterà alle aziende di candidare i progetti. È il Fondo nuove competenze che rimborsa il costo, comprensivo di contributi, delle ore di lavoro ridotte, destinate alla frequenza di corsi per lo sviluppo delle competenze.

Rispetto allo scorso anno non coprirà più la totalità dei costi, ma il 100% dei contributi e il 60 della retribuzione oraria delle ore di formazione. Adesso vi starete chiedendo: se i soldi ci sono e la procedura è ormai incardinata, perché la notizia “sarebbe” e non “è” positiva? Il motivo è presto detto.

A partire dalla sua istituzione, il Fondo nuove competenze ha avuto una dote di oltre 2,3 miliardi. Alla prima sperimentazione, finanziata con 730 milioni, si è aggiunto un ulteriore miliardo con l’approvazione della riprogrammazione del Pon-Spao da parte dell’Unione europea.

Risorse ingenti che, tuttavia, in una prima fase non sono bastate a soddisfare le richieste di finanziamento avanzate da migliaia di imprese sparse su tutto il territorio nazionale, a cominciare dal Mezzogiorno. La “coperta corta”, dunque, ha spinto l’Anpal, soggetto deputato all’erogazione dei fondi, a ridurre in corso d’opera le risorse destinate alle imprese.

Molte aziende che avevano partecipato al bando sperando di ottenere la copertura del 70% delle spese legate ai progetti da realizzare, infatti, all’improvviso si sono viste ridurre quella quota al 40%; come se non bastasse, ad aggravare il tutto ha contribuito la richiesta di una polizza fideiussoria, inizialmente non contemplata.

Il risultato è facile da immaginare. Migliaia di imprese, che avevano deciso di investire risorse ed energie su determinati progetti formativi nella consapevolezza che lo Stato avrebbe coperto una quota consistente delle relative spese, hanno dovuto ridimensionare aspettative, progetti e prospettive di sviluppo. Molte, addirittura, attendono ancora di incassare le (minori) risorse sulle quali continuano a fare affidamento.

Più concretamente: ci sono aziende che hanno partecipato all’ultimo bando promosso dall’Anpal e che, a distanza di mesi, attendono ancora il saldo del contributo assegnato. E paradossalmente, nel frattempo, Ministero del Lavoro e Ministero dell’Economia accelerano su una procedura alla quale è inevitabile che adesso le imprese guardino con sfiducia, se non addirittura con sospetto.

Che cosa insegna questa vicenda? Che stanziare miliardi di euro rischia di essere inutile, persino controproducente, se alle imprese italiane non si offrono certezze sotto il profilo della normativa di riferimento, dei tempi di completamento delle procedure amministrative e della quantità di denaro da erogare. Prima ancora che di fondi, comunque indispensabili in una fase in cui c’è da mettersi alle spalle lo strascico della pandemia e da affrontare le nefaste conseguenze della guerra in Russia, le aziende hanno bisogno di certezze che consentano loro di programmare investimenti e politiche di sviluppo. Cambiare le regole del gioco in corso d’opera può rivelarsi un clamoroso autogol, anche in riferimento al Pnrr di cui qualcuno auspica uno stravolgimento. L’appello alla politica, dunque, non può che essere uno: non bastano i fondi, alle imprese servono innanzitutto certezze.

E fino a quando lo Stato non avrà compreso questa fondamentale regola dell’agire economico, ogni politica di sviluppo si rivelerà un flop. Con buona pace dell’Italia, a cominciare dal Sud.

Raffaele Tovino è dg di Anap

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