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domenica 8 Settembre 2024
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Restituiamo dignità al lavoro

L’occupazione è altra cosa rispetto al lavoro. Mentre tutti continuano a sciorinare dati sul mercato del lavoro, io parto da una netta distinzione tra questi due termini, spesso usati a sproposito. L’occupazione indica lo “stato” di un cittadino abile a svolgere una mansione. Si può risultare occupato anche in virtù di contratto di lavoro a tempo determinato, persino di un solo giorno. Se, invece, parliamo di lavoro si apre un universo semantico immenso, arricchito, nel corso dei secoli, dai contributi di filosofi, sociologi, economisti, giuristi e politici (quelli con P maiuscola e non vi tedio con una inutile elencazione). Mi piace la definizione secondo la quale il lavoro occupi un posto di rilievo all’interno dell’abitare umano nel mondo: ogni città e ogni esistenza umana sono il manifesto evidente della sua centralità. Il lavoro, infatti, da un lato abita e struttura la convivenza cittadina, i suoi luoghi e i suoi ritmi e, dall’altro, abita l’esistenza dell’uomo, il suo tempo, le sue possibilità, la sua realizzazione, la sua dignità.

Il lavoro è legato alla socialità comunitaria, alle sue regole costitutive di una identità di popolo. Io per indole continuo ad ispirarmi al testo costituzionale: «La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società». Per questo dovremmo parlare di lavoro, piuttosto che di occupazione.
I report registrano una crescita degli occupati in Italia, sono 175mila in più nel secondo trimestre del 2022 rispetto al primo. In tre mesi c’è stato un aumento degli occupati intorno al +0,8%, mentre parallelamente sono diminuiti i disoccupati del -4,6% e il numero degli inattivi del -0,9%. Sono cresciute le attivazioni, soprattutto nel lavoro a tempo determinato che riguarda soprattutto i giovani. A certificarlo l’Istat, secondo il quale nel secondo trimestre 2022, il 31,5% dei giovani svolge un lavoro a tempo determinato (8,5% tra gli adulti) e gli under 35 rappresentano più della metà del totale dei dipendenti a termine (52,3%). Un impiego determinato, spesso mal retribuito. Tuttavia quello dei salari, in Italia, è un problema cross-generazionale. Secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, nel nostro Paese i salari reali scendono del 3% contro una media nei 38 Paesi che aderiscono all’Ocse pari al 2,3%. La bassa retribuzione è una delle cause dei posti vacanti che, nell’area Ocse, sono cresciuti a livelli record, il numero di imprese che riportano difficoltà a reperire manodopera è cresciuto in molti paesi e settori, agricoltura in primis, comparto nel quale si continua a guardare ai voucher come una panacea che dovrebbe esorcizzare tutti i mali. I cambiamenti strutturali avvenuti nei mercati del lavoro negli ultimi decenni – rimozione dell’indicizzazione e aumento del potere di mercato dei datori di lavoro – comportano meno pressione al rialzo sui salari. Come sindacato stiamo da tempo ribadendo l’improrogabile necessità di un rinnovo contingente dei contratti nazionali di lavoro scaduti, offrendo lavoro stabile e dignitoso. È da lì che dobbiamo ripartire, per ridare potere di acquisto e allineare le retribuzioni al caro vita. I gruppi a basso reddito sono più esposti ai cali dei salari reali. Sono concorde con la valutazione dell’Ocse: è necessario sostenere i salari reali per i lavoratori sottopagati, malgrado la notevole penuria di manodopera, la crescita dei salari reali non compensa l’attuale spinta inflazionistica per le categorie più povere. Certo, perché qualcuno pensa che sia prioritario aumentare il tetto dei salari ai manager pubblici, forse perché 240mila annuo sono pochi! C’è, oggi, la necessità di mettere al centro dell’agenda del Paese azioni concrete per creare un’occupazione stabile e di qualità. Per farlo occorre un forte senso di responsabilità politica da parte della classe dirigente.

Pietro Buongiorno è segretario regionale Uil agricoltura

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