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martedì 24 Settembre 2024
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Il pericolo di decisioni squilibrate

Il federalismo differenziato ritorna al centro del dibattito politico tra Stato centrale e Regioni, dopo essere temporaneamente uscito di scena all’insorgere della pandemia per il Covid. In realtà, già la prima gestione della pandemia aveva evidenziato criticità importanti in seno al decentramento della Sanità italiana ponendo importanti questioni di coordinamento dell’azione sanitaria sul territorio nazionale. Il peggiorare degli effetti di traboccamento, ossia delle esternalità intraregionali prodotte dal Covid, sconsigliavano, infatti, l’adozione di ulteriori misure di decentramento di tipo asimmetrico che avrebbero peggiorato la situazione sanitaria introducendo ulteriori elementi di confusione istituzionale.

Come era prevedibile, nel post-Covid, il tema del federalismo differenziato è ritornando nell’agenda politica del Paese rafforzato da un governo fortemente intenzionato a realizzarlo. Il punto di forza del decentramento asimmetrico consiste nel consentire alle Regioni italiane di farsi direttamente carico di funzioni per le quali le singole Regioni hanno delle specifiche peculiarità che le differenziano in modo sostanziale dalle altre Regioni. Allo scopo di perseguire questa finalità il ministro degli Affari Regionali e dell’Autonomia, Roberto Calderoli, ha fatto circolare una bozza del ddl che dovrebbe stabilire le regole quadro del progetto. Sulla base di questa prima bozza è iniziato, pertanto, il confronto tra Stato e Regioni. Si tratta di un processo interessante da seguire per la diversità delle richieste e degli interessi delle Regioni italiane in merito al progetto di riforma proposto e per l’impatto divisivo che questo rischia di avere sugli elettori, i loro diritti e il loro benessere.

Il Paese è, infatti, piuttosto diviso su questo argomento. Da un lato c’è la coalizione delle Regioni settentrionali che domanda una maggiore autonomia differenziata su una vasta gamma di materie e richiedono che le voci corrispondenti del bilancio dello Stato centrale vengano trasferite alle Regioni che ottengono il riconoscimento dell’autonomia differenziata.

Dall’altro lato le Regioni meridionali reputano troppo ampio il ventaglio delle possibili materie da decentralizzare e sono intenzionate, piuttosto, a mettere al centro del confronto il tema della perequazione che, previsto dalla Costituzione, è rimasto ampiamente inattuato in gran parte delle competenze oggi attribuite a tutte le Regioni italiane. Le Regioni meridionali pensano, infatti, che l’individuazione dei Lep, cioè dei livelli essenziali delle prestazioni da garantire a ogni cittadino italiano su tutto il territorio nazionale, sia un prerequisito a qualsiasi negoziato tra Stato e Regioni.

Oltre agli aspetti di equità, aggiungerei altri problemi irrisolti riguardanti il coordinamento tra le Regioni e lo Stato. Le Regioni che ottengono il decentramento asimmetrico di alcune competenze si prendono le corrispondenti voci dal bilancio dello Stato, ma non è chiaro se poi possano partecipare alla ripartizione delle spese del governo centrale sulle materie devolute. Di sicuro, i parlamentari di tutte le regioni contribuiranno a decidere le politiche del governo centrale nel resto del Paese, squilibrando il sistema decisionale. Le Regioni che avranno maggiori competenze, infatti, decideranno in piena autonomia su quelle materie e contribuiranno alle decisioni del governo centrale sulle stesse materie nelle altre Regioni. Non sarà, però, vero il contrario.

Michele G. Giuranno è professore associato di Scienza delle finanze presso l’Università del Salento

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