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domenica 22 Settembre 2024
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Stop al cuneo per ridurre le disparità

La bozza di riforma fiscale ipotizzata dal Governo ha riaperto il dibattito non solo sull’abnorme quantità di tasse che gli italiani devono pagare, ma anche sulla necessità di interventi volti a ridurre le disuguaglianze sociali. In questo senso, si sa, l’imposizione fiscale è uno strumento formidabile ed è proprio su tale aspetto che si appuntano le critiche di molti addetti ai lavori.

Alla riforma ipotizzata dal governo Meloni si contesta la volontà di migliorare la condizione del ceto medio-alto, privilegiando i lavoratori autonomi, col rischio di disegnare un sistema iniquo, in cui le frange più deboli della popolazione devono fare i conti anche con la stretta su uno strumento di protezione sociale come il Reddito di cittadinanza. L’ampliamento dei divari, dunque, è sempre in agguato ma, nello stesso tempo, uno strumento capace di rafforzare l’occupazione, stimolare i consumi e nel contempo ridurre le disuguaglianze c’è e si chiama taglio del cuneo fiscale.

Basta dare un’occhiata all’ultimo rapporto Taxing Wages stilato dall’Ocse per comprendere come, nel nostro Paese, il peso del fisco sul lavoro sia tra i più consistenti del mondo industrializzato, soprattutto per quanto riguarda i lavoratori con figli a carico. Nel 2021 la differenza tra il costo per il datore di lavoro e la retribuzione netta percepita dal dipendente è stato pari al 46,5%, in calo di 0,4 punti rispetto al 2020 ma comunque tale da collocare l’Italia al quinto posto della poco lusinghiera classifica dei Paesi aderenti all’Ocse in cui il cuneo fiscale è più alto. Numeri che hanno spinto il governo Meloni a prevedere, nella legge di bilancio per il 2023, uno sconto sulle trattenute in busta paga pari al 3% per chi ha una retribuzione lorda annua fino a 25mila euro, cioè per 15 milioni di persone, e pari al 2% per chi invece guadagna tra 25mila e 30mila euro lordi ogni anno. L’obiettivo è portare il taglio del cuneo fiscale al 5% entro i prossimi tre anni, come ha precisaro il minsitro Adolfo Urso.

Ecco, il taglio del cuneo fiscale può compensare quel vantaggio che alla classe medio-alta deriverebbe dalla rimodulazione degli scaglioni Irpef, dall’abolizione dell’Irap e dalla riduzione dell’Ires per chi non distribuisce ma investe gli utili societari, destinate a essere inserite nella riforma fiscale. È sul cuneo fiscale, quindi, che il Governo deve intervenire al più presto, magari con un ulteriore “taglio-choc” invocato dalle forze politiche. Il principale effetto di una forte “sforbiciata” del carico fiscale sui redditi più bassi è presto detto: più soldi in busta paga per i lavoratori che guadagnano di meno, senza ulteriori aumenti dei costi per le imprese e senza intaccare i contributi a fini pensionistici. Se poi alla progressiva “demolizione” del cuneo fiscale si associasse la conferma degli sgravi dei contributi previdenziali dovuti dai datori di lavoro, misura che il governo ha prorogato fino al 31 dicembre di quest’anno, per le imprese e i lavoratori meridionali potrebbe presto arrivare una svolta positiva. Qualcuno obietterà: e le coperture dove le troviamo? La risposta è semplice: dal taglio della spesa pubblica improduttiva che da decenni impedisce di destinare risorse adeguate a misure indispensabili per il rilancio dell’economia nazionale, a cominciare proprio da quella del Mezzogiorno.

Raffaele Tovino è dg di Anap

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