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Alice Pignanoli, baluardo dei diritti dentro e fuori dal campo: «La mia voce fuori dal coro»

La storia di Alice Pignanoli, classe 1988, calciatrice del Ravenna in serie B meriterebbe di essere raccontata nelle scuole, alle donne che quotidianamente lottano per far rispettare i propri diritti ma che spesso sono ostruite e divengono sistematicamente vittime di soprusi e abusi. Alice ha avuto una forza mentale prima che fisica nel ritornare a giocare dopo la maternità, soprattutto nel secondo caso perché in quel caso è stata osteggiata in tutti i modi dal club affrontando una battaglia legale. La Pignanoli ha proseguito la sua mission difendendo i suoi diritti e scrivendo anche un libro autobiografico. In carriera ha indossato diverse maglie e tra le più importanti: la Reggiana, il Milan, il Napoli. il Genoa e la Torres, con quest’ultima ha vinto lo scudetto nel 2011 e l’anno successivo la Supercoppa italiana. Laureatasi in Scienze della Comunicazione alla IULM di Milano. Intervenuta ai nostri microfoni si è raccontata.

Illustraci come a 15 anni da giocatore da movimento si è trasformata in portiere e si sarebbe aspettata un tale exploit.

«Arrivare in porta è stato casule e non voluto, perché si fece male una compagna di squadra in vista delle finali Primavera e il miste e la società mi vollero in quel ruolo. Giocavo nelle giovanili della Reggiana squadra con cui ho debuttato in A e con cui sono arrivata ad esordire anche in Coppa Uefa. Da piccolina, era difficile e qualcuno mi scambiava per maschiaccio ed è capitato di sentirmi chiamare “Alicio”. Ma la mia volontà e costanza è stata più forte di tutto e dei pregiudizi. Sono innamorata del calcio e tuttora difendo i pali del Ravenna in serie B».

Si rispecchia, se la considerassimo, una “voce fuori dal coro” in uno sport cresciuto ma che deve fare un ulteriore salto di qualità e superare le barriere dei pregiudizi e ipocrisie?

«Abbiamo fatto progressi ma c’è ancora molto da lavorare e vincere tante battaglie. Regna ancora tanta ipocrisia e pensare una volta al calcio femminile non come un prodotto che debba portare introiti, ma guardare oltre. Personalmente ho vissuto e non molto tempo fa, alla Lucchese, il mio più brutto periodo ma l’ho superato con grande forza e voglia di non mollare portando avanti un a battaglia legale con prove e coraggio».

Che cosa è successo nel dettaglio con la Lucchese?

«Ho scoperto di essere incinta e correttamente lo comunico al mister che si dice contento così come le mie compagne. Qualche giorno dopo l’A.d. mi dice che i contratti andrebbero rispettati comunicando al mio procuratore che non mi avrebbero pagato, cosa verificatasi. Ma il punto non è solo economico ma una questione di principio e rispetto, mi hanno buttato via perché incinta preferendo se fossi stata infortunata. Neanche un mese dopo mi è arrivata una email dove mi si chiedeva di restituire il materiale sportivo e lasciare il posto letto, cancellata dal gruppo WhattsAp. Io però non sono rimasta ferma, ho messo l’avvocato e sono stata appoggiata dall’Aic, e da Assist (Associazione Nazionale Atlete). Loro hanno cambiato anche la PEC per sostenere che non avessero ricevuto comunicazioni. Ma io ho rilasciato anche un’intervista dove raccontavo quanto subito. Sulla mia vicenda, inoltre, è intervenuta l’onorevole Laura Boldrini che ha presentato un’interrogazione parlamentare. Io non voglio strumentalizzare quello che mi sta accadendo, ma sono rimasta sola e ho deciso che questa battaglia va combattuta fino in fondo per tutte quelle ragazze che sognano di diventare delle calciatrici e non vogliono rinunciare a tutto il resto; quando ero più giovane c’erano ragazzi che si vergognavano di essere fidanzati con una giocatrice e io ritengo che questa mentalità vada sradicata, sia per allargare la base del nostro movimento e per una società più inclusiva. A scuola le maestre dicevano che ero l’avvocato delle cause perse perché sposavo sempre gli indifesi e le ingiustizie e continuerò a farlo perché per me non “sono cause perse” ma meritevoli».

Ti sei già fatta e continuerai portatrice di un calcio più inclusivo, senza pregiudizi e quegli stereotipi sessisti che oggettivamente hanno stancato. Il tuo parere.

«Dall’allora presidente FIGC, Carlo Tavecchio fu detto esplicitamente “Quelle 4 lesbiche…” una frase ripetuta ma negata anche da un altro personaggio andato al vertice. E’ risaputo che si pensa di noi calciatrici questo. Ma il calcio è uno sport inclusivo. In molte scuole calcio nelle prime fasce si gioca misti ed in generale la qualità è molto cresciuta anche a livello tecnico. Compiamo tanti sacrifici per arrivare poi a giocare nelle categorie superiori anche se c’è ancora tantissimo da lavorare per far crescere il nostro movimento ben oltre la ribalta degli ultimi anni. Tuttavia dal riconoscimento dei nostri diritti, dove sono contenta di aver dato un mio contributo, a quello del professionismo finalmente considerato ufficialmente dalla Lega relativo alla serie A e B è stato fatto un bel passo in avanti».

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