Home Italia Femminicidi, la brutalità dei gesti: sono 111 le donne uccise nel 2023

Femminicidi, la brutalità dei gesti: sono 111 le donne uccise nel 2023

Ancora un femminicidio in Veneto dove una ragazza di 26 anni, Vanessa Ballan, incinta di pochi mesi e madre di un bimbo di 4 anni, è stata trovata morta in casa uccisa a Riese Pio X in provincia di Treviso con diverse ferite di arma da taglio sul corpo. La 26enne sarebbe stata uccisa da una decina di coltellate al torace. A trovare Vanessa riversa a terra è stato il marito, 28 anni, di ritorno dal lavoro verso mezzogiorno. E dopo un tentativo di rianimarla, avrebbe chiamato i soccorsi. Escluso un suo coinvolgimento nell’omicidio.

Fermato invece Bujar Fandaj, il 41enne di origine kosovare ricercato per ore per l’omicidio di Vanessa. L’uomo è stato fermato dai carabinieri, sotto la direzione della Procura di Treviso, poco distante dalla sua abitazione e al momento si trova in caserma. A ottobre scorso era stato denunciato da Vanessa per stalking.

«Non solo è stata accoltellata ben 7 volte in parti vitali ma Vanessa Ballan prima è stata anche picchiata perché sul volto c’erano segni di percosse violente». Così il procuratore capo di Treviso Repubblica Marco Martani sull’omicidio della 26enne uccisa a Riese Pio X in provincia di Treviso, parlando di una “particolare ferocia”. La vittima «ha cercato di parare i colpi perché aveva ferite alle mani, ha cercato di ripararsi», ha detto ancora Martani. Riguardo alle sette coltellate, ha continuato, «più di una era mortale».

Nel frattempo è stato trovato il martello con cui è stata sfondata la porta a vetri laterale della villetta, ha affermato Martani aggiungendo che è stato trovato anche un coltello, rinvenuto nel lavandino dell’abitazione, ancora con tracce ematiche ed «è sicuramente quello utilizzato per compiere il delitto». Si tratta di un coltello simile a quelli nell’abitazione di Bujar e che non faceva parte delle posate usate dalla famiglia di Vanessa, ha sottolineato il procuratore capo. Su Fandaj Bujar «ci sono indizi gravi», ha fatto sapere ancora il procuratore capo: oltre al “movente” ha ricordato il comportamento dell’uomo che dopo il delitto si è reso irreperibile. Per il procuratore ci sono anche «indubbi profili di pericolosità sociale anche per la particolare ferocia» dell’omicidio, ha continuato. Dopo la querela presentata dalla vittima, «non c’erano più stati episodi di molestie o di avvicinamenti indesiderati da parte di Bujar (il fermato) nei confronti di Vanessa», ha detto Martani spiegando.

«Le denunce di codice rosso vengono trattate dal magistrato di turno esterno, nell’ipotesi in cui il magistrato di turno esterno non sia anche un magistrato del gruppo fasce deboli e violenza di genere, dopo che il magistrato di turno esterno ha preso provvedimenti di immediata urgenza, passa il fascicolo al magistrato del gruppo specializzato. “Nel caso specifico il magistrato di turno esterno, che non fa parte del gruppo magistrati specializzati, nel giro di un giorno ha disposto la perquisizione e ha disposto che il fascicolo passasse al magistrato di turno fasce deboli. Quest’ultimo non ha ritenuto che ci fosse una situazione che imponesse una immediata richiesta di misura cautelare ma ha ritenuto di approfondire gli atti di indagine chiedendo i tabulati del telefono di Bujar perché i messaggi erano stati cancellati da Vanessa», ha sottolineato.

«L’esito dei tabulati non era ancora arrivato – ha concluso il procuratore – Peraltro in questi quasi due mesi, dalla perquisizione a ieri mattina, non c’erano stati altri episodi allarmanti, quindi la valutazione fatta dal magistrato fasce deboli era una non urgenza sulla richiesta di misura cautelare. Alla luce di ciò che è successo la valutazione si è rivelata infondata».
In corso anche le indagini della polizia sull’omicidio suicidio avvenuto a Sant’Elia, in provincia di Rieti, dove due coniugi, lui 82 anni, lei 72, sono stati trovati morti in casa da un parente. Accanto ai corpi è stato trovato un martello, usato molto probabilmente dal marito per uccidere la moglie e un fucile da caccia, regolarmente detenuto, con cui l’uomo si è poi tolto la vita sparandosi. La polizia sta svolgendo gli accertamenti per chiarire i motivi del brutale gesto.

«La Città di Rieti è sconvolta per la tragedia che si è consumata. Siamo scossi e addolorati per un gesto orribile e inspiegabile. Ci stringiamo attorno ai familiari e alla comunità della frazione di Sant’Elia», dichiara il sindaco di Rieti, Daniele Sinibaldi.

Sono 111 le donne uccise nel 2023

Sono 111 le donne uccise nel 2023, fino al 3 dicembre, di cui 90 in ambito familiare o affettivo, 58 quelle uccise da partner o ex partner. È quanto emerge dal report ‘Il Punto-Il pregiudizio e la violenza contro le donne’, elaborato dal Servizio Analisi Criminale, che esamina la tematica attraverso l’elaborazione dei dati della banca dati delle forze di polizia. Un dato, si sottolinea nel report presentato alla Direzione centrale Polizia criminale, che costituisce la parte drammaticamente visibile di un fenomeno profondo e complesso, che è quello della violenza di genere.

Nell’anno 2022, le donne vittime di omicidio commesso dal partner o ex partner sono state il 58% di quelle uccise in ambito familiare/affettivo mentre, nel 2021, raggiungevano il 70%. Nei primi nove mesi del 2023 la percentuale sale al 65%, contro il 59% registrato nell’arco temporale corrispondente del 2022.

Per quanto attiene al modus operandi, nel periodo gennaio – settembre 2023, così come nell’analogo periodo del 2022, negli omicidi volontari di donne avvenuti in ambito familiare/affettivo si rivela preminente l’uso di armi improprie e/o armi bianche (28 casi nel periodo 2023 a fronte dei 31 casi nell’analogo periodo del 2022). In 24 casi sono state utilizzate armi da fuoco (18 casi nel periodo 2022). Seguono le lesioni/percosse (12 omicidi in entrambi gli intervalli temporali) e l’asfissia/soffocamento/strangolamento (10 casi a fronte dei 12 del periodo 2022).

Nei primi nove mesi dell’anno, gli autori di omicidio volontario, per il 73% italiani, nell’85% dei casi ha un’età superiore ai 30 anni, e il 59% ha più di 45 anni . Le donne uccise da partner o ex partner (per l’81% italiane), nel 64% dei casi avevano più di 45 anni e il 28% erano ultrasessantacinquenni.

Nei primi nove mesi del 2023 diminuiscono del 13% gli atti persecutori, il cosiddetto stalking, che sono stati 12.491 a fronte dei 14.326 dell’analogo periodo nel 2022. Si tratta di un reato che colpisce le donne nel 74% dei casi; diminuiscono del 12% i maltrattamenti contro familiari e conviventi, che interessano le donne nell’81% dei casi. Diminuiscono, soprattutto, del 12% le violenze sessuali, reato particolarmente grave, che nel 91% dei casi ha come vittime delle donne (di cui il 29% minorenni).

Nel caso dei maltrattamenti contro familiari e conviventi, i dati del periodo gennaio- settembre 2023 evidenziano un decremento, passando a 16.599 casi a fronte dei 18.843 dell’analogo periodo nel 2022 (-12%), mentre l’incidenza delle vittime di genere femminile si attesta all’ 81% in entrambi i periodi.

Per ciò che attiene al periodo gennaio 2021-settembre 2023, le vittime di genere femminile risultano di gran lunga le più colpite facendo registrare un valore pari all’82% del totale; di queste, il 93% sono maggiorenni e il 76% è di nazionalità italiana. Un trend in diminuzione si registra anche per la violenza sessuale in tutte le sue forme, che diminuisce del 12%, passando dai 4.909 episodi del periodo 2022 ai 4.341 dell’analogo periodo del 2023. Anche in questo caso, disaggregando i dati per genere, continuano a risultare predominanti le vittime femminili, che nella fattispecie raggiungono l’incidenza più elevata nell’ambito dei reati spia, con il 91%. Nell’arco temporale gennaio 2021 – settembre 2023 le vittime donne si attestano al 91%; di queste, il 29% sono minorenni e il 78% risulta di nazionalità italiana.

In termini generali, quindi, i dati dei reati commessi fanno registrare, in valori assoluti, decrementi rilevanti in tutte le fattispecie dei cosiddetti reati spia; tuttavia, l’incidenza delle vittime di genere femminile non fa registrare flessioni e continua ad attestarsi su valori elevati e sostanzialmente costanti per l’arco temporale di riferimento.

Nei primi 9 mesi del 2023, rispetto all’analogo periodo del 2022 diminuiscono le violazioni dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (-4%) e le lesioni con deformazioni o sfregio permanente al viso (-14%), mentre aumentano il revenge porn (+1%) e la costrizione o induzione al matrimonio con 16 casi nel 2023 rispetto agli 11 dell’anno prima (+45%). E’ quanto emerge dal report ‘Il Punto-Il pregiudizio e la violenza contro le donne’, elaborato dal Servizio Analisi Criminale, che esamina la tematica attraverso l’elaborazione dei dati della banca dati delle forze di polizia, presentato questa mattina alla Direzione Centrale Polizia Criminale, ufficio interforze del Dipartimento della Ps.

Per quanto riguarda la costrizione o induzione al matrimonio sebbene, in termini assoluti, non vengano registrati valori rilevanti, nel periodo gennaio-settembre 2023 tale violazione registra un significativo incremento del 45% rispetto all’analogo intervallo dell’anno precedente. Un aumento rilevante, che può, tuttavia, essere interpretato anche sotto il profilo del fisiologico processo di progressiva applicazione della nuova norma, basata su una crescente consapevolezza delle vittime che denunciano maggiormente. Dall’entrata in vigore, si sono registrati per tale fattispecie delittuosa 69 episodi. L’88% delle vittime è di genere femminile; di queste, il 33% è minorenne mentre il 65% risulta di nazionalità straniera.

Quanto alle vittime di revenge porn sono predominanti quelle di genere femminile, con un’incidenza del 69%. Tra queste il 17% risulta minorenne e l’87% di nazionalità italiana. Significativo il dato in base al quale le donne risultano, inoltre, spesso uccise per mano di genitori o figli (30% nel periodo 2022 e 23% nel periodo 2023), mentre è residuale il caso di omicidi commessi da altro parente.

Saman, ergastolo per i genitori

Ergastolo per Shabbar Abbas e Nazia Shaheen, 14 anni di reclusione per Danish Hasnain. Assolti per non aver commesso il fatto Ikram Ijaz e Nomanulaq Nomanulaq. Così ha deciso la Corte di Assise del Tribunale di Reggio Emilia che, dopo 5 ore di consiglio ha pronunciato la sentenza di primo grado del processo per l’omicidio di Saman Abbas. A distanza di due anni e mezzo dal fatto, i genitori della 18enne uccisa a Novellara, sono stati riconosciuti colpevoli dell’omicidio, come lo zio. Per i primi è stata riconosciuta la sola aggravante del rapporto di discendenza, mentre è caduta per tutti quella della premeditazione. Assolti i cugini, per i quali la Procura aveva chiesto 26 anni.

Vane, dunque, le lunghe dichiarazioni spontanee rese da Shabbar Abbas in aula. Il padre della vittima ha parlato per un’ora e quarantuno minuti davanti al presidente del tribunale emiliano Cristina Beretti. Un fiume in piena interrotto solo per un breve istante, sul finale, dalle lacrime scese pensando alla «dura vita in carcere» dove gli altri detenuti lo chiamano «cane, un cane – ha detto – che ha ucciso sua figlia». Ha parlato restando seduto, il padre di Saman. Affiancato dall’interprete mai scomodata, si è rivolto alla Corte dicendo di voler dire «tutta la verità dopo tante parole false sentite». Ha iniziato partendo da se stesso, «Non è vero che sono una persona ricca, che sono legato alla mafia, che ho ammazzato qui o in Pakistan né che sono andato a casa di Saqib a minacciarlo. Falso – ha continuato – che io abbia ammazzato mia figlia e sia scappato via, che il 29 aprile abbia scavato una buca, che abbia portato lo zaino a casa dopo averla lasciata in campagna».

Ed è allora che allarga il discorso, raccontando una storia diversa da quella emersa fino a oggi. «Sono venuto in Italia con la mia famiglia a luglio del 2016 – ha detto – I bambini, dopo 1 o 2 mesi, hanno cominciato ad andare a scuola, spesso li portavo io e qualche volta andavano soli. Saman non voleva però prendere il treno, mi ha chiesto di comprarle una macchina ma senza la patente le ho risposto che non avrebbe potuto guidarla e mi ha risposto che allora non voleva andare a scuola». Si difende, Shabbar, dalle accuse di non aver dato il permesso alla figlia di andare a scuola perché femmina. Non voleva andarci lei, secondo il padre, per questo le aveva messo a disposizione un computer che lei usava per collegarsi su Skype e studiare.

Ed è a questo punto che rinforza la sua posizione e rassicura la Corte: «Non voglio dire bugie, ne ho sentite troppe qui». A dirle è stata Saman: «Ha detto bugie e mi fa male che lo dicano». E ha mentito anche l’altro figlio, Ali Heider. «Non può aver visto nulla, era buio», dice Shabbar riferendosi alle dichiarazioni rese in aula dal ragazzo, convinto di aver visto la sera del 30 aprile 2021 lo zio, Danish Hasnain, afferrare per il collo la sorella per portarla dietro alle serre, seguito dai cugini Ikram Ijaz e Nomanulaq Nomanulaq.
E torna a focalizzarsi su stesso. «In vita mia non ho mai picchiato nessuno». Falso, secondo il padre della vittima, anche il matrimonio combinato. «Nel 2019 siamo andati in Pakistan e alcuni giorni dopo mio cugino mi ha detto che voleva portare a casa sua mia figlia – racconta – Lei era ancora una bambina. Così gli ho risposto che volevo pensarci, che mi serviva tempo. Sono state Saman e mia moglie, 15/20 giorni dopo, a dirmi che andava bene».

Akmal, il cugino che avrebbe voluto sposare Saman ancora minorenne «non era così più grande di lei come è stato scritto – precisa Shabbar – Ha 4 anni in più di lei. E d’altronde non avrei mai voluto un vecchio accanto a mia figlia. La sua famiglia sta bene, ha casa e terra, tutto quello che serve per vivere. E poi – sottolinea – è il mio stesso sangue». «Erano tutti contenti, Saman era contenta – dice ancora il padre, per il quale la Procura ha chiesto l’ergastolo – Se mai Saman mi avesse detto una volta che non voleva sposare quel ragazzo, avrei annullato tutto. I genitori non pensano mai male per i figli, come non l’ho fatto io. Gli volevo bene, ho sempre lavorato in campagna, non ho mai rubato. Sono una persona povera, ho iniziato casa nel 2015 e ancora non è finita. Una persona ricca l’avrebbe fatta subito, e un mafioso non viene in Italia a lavorare».

È a giugno, precisamente il 12, che «è iniziato il casino» spiega il padre di Saman. Quello è il giorno della fuga della figlia in Belgio. «Ero in campagna – ricorda Shabbar – mia moglie mi raggiunse per dirmi che non trovava più nostra figlia, che se n’era andata portandosi via 8mila euro e l’oro che avevamo in casa. Ho guardato le telecamere, ho preso la bici per andare a cercarla e alla fine mi sono rivolto ai carabinieri di Novellara. Ho avuto paura e ho chiamato il ragazzo con il quale era in contatto e che in inglese mi ha detto di non sapere dove si trovasse Saman. Una settimana più tardi mia figlia mi ha chiamato, piangeva e mi ha chiesto di farle un biglietto per tornare in Italia perché lì non stava bene. Andò mio fratello maggiore, Faqar, a prenderla- dice Shabbar – Sapevano tutti in famiglia che Saman era fuggita e abbiamo giurato sul Corano che nessuno ne avrebbe fatto parola». E da lì il tentativo di tornare alla “normalità”.

Secondo Shabbar Abbas sarebbe stata proprio Saman a dire che «voleva fare un giro in Pakistan ma c’era il Covid. Mi ha detto di andare tutti insieme – ha continuato – ma le ho risposto che dovevo lavorare. Ha insistito, ma avevo trovato solo tre biglietti. Saman, il fratello e la madre sono andati, io li ho raggiunti appena ho potuto. Siamo stati a casa di Akmal, era tutto normale, erano tutti felici. Siamo rientrati in Italia il 14 settembre». Quindi le lacrime. «Mai ho pensato di uccidere mia figlia – spiega Shabbar alla presidente Beretti – Noi nemmeno gli animali ammazziamo. Sono stati i giornalisti a mettermi questa targhetta. In carcere non è una bella vita, mi danno del cane che ho ammazzato sua figlia».

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