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sabato 27 Luglio 2024
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Il primo suicidio assistito nella Asl. L’ok è del giudice

Di Emma Alfani
Era affetta da una malattia irreversibile e da un anno chiedeva di poter accedere alla morte assistita volontaria. Lo ha fatto prima rivolgendosi alla Asl di competenza, poi, dopo un nulla di fatto, al Tribunale di Trieste, che ha ordinato l’avvio di verifiche. Lo scorso 28 novembre è quindi morta a casa sua, a Trieste, all’età di 55 anni, dopo l’auto – somministrazione di un farmaco letale fornito, cosa mai accaduta prima, dal Sistema sanitario nazionale.

Si tratta della prima persona in Italia ad aver avuto accesso al Suicidio assistito con l’assistenza completa del Ssn che ha fornito il farmaco letale e un medico di supporto. Una battaglia vinta per la donna, di cui per sua stessa volontà non sono state rese note le generalità ma che ha indicato come nome fittizio quello di Anna.

La donna triestina era affetta da sclerosi multipla secondariamente progressiva: una diagnosi ricevuta nel 2010. Come hanno evidenziato i referti medici, Anna si esprimeva con voce flebile e ipofonica ma era vigile e lucida. Era completamente dipendente dall’assistenza.

Il 4 novembre 2022 aveva inviato all’Azienda sanitaria universitaria giuliano isontina la richiesta di verifica delle sue condizioni per accedere alla morte assistita. Dopo mesi di attesa senza risposte, aveva depositato ai carabinieri una denuncia per rifiuto/omissione d’atti d’ufficio nei confronti dell’Azienda sanitaria e presentato un ricorso d’urgenza dinanzi al giudice civile. Il Tribunale di Trieste aveva quindi chiesto che l’Azienda disponesse verifiche e accertamenti sul caso. A settembre era quindi arrivato il via libera dalla Commissione medica multidisciplinare per accedere al Suicidio assistito.

ITALIA SI ITALIA NO

«È troppa l’attesa per i poveri malati» Parlano Marco Cappato e Filomena Gallo dell’associazione Coscioni

Di Andrea Fiore
«il diritto di scelta alla fine della vita si sta faticosamente affermando». Sono state queste le prime parole di Marco Cappato, tesoriere dell’associazione Luca Coscioni, che con Filomena Gallo, avvocata e segretaria dell’associazione, è stato il primo a raccontare alla stampa la storia di Anna (nome di fantasia), la 55enne triestina con sclerosi multipla secondariamente progressiva, che ha avuto accesso al suicidio assistito ed è scomparsa il 28 novembre scorso.
«Per la prima volta in Italia una persona ha avuto accesso all’aiuto alla morte volontaria interamente nell’ambito del Servizio sanitario pubblico a seguito dell’ordine di un giudice – ha commentato Filomena Gallo che si è occupata del caso coordinando il collegio legale di studio e difesa. “

«Anna per ottenere il rispetto della sua volontà e l’applicazione della sentenza ‘Cappato’ della Consulta ha dovuto rivolgersi alla giustizia civile e penale». Per questo, ha voluto aggiungere Marco Cappato, «occorre lavorare sui tempi. Non deve più essere consentito di far attendere quasi un anno fra sofferenze intollerabili e condizioni che peggiorano con il rischio – come stava accadendo ad Anna -di perdere le ultime forze necessarie per l’auto-somministrazione del farmaco letale».

«Anna -ha poi voluto puntualizzare Gallo – è la prima persona malata che ha visto riconoscere da parte dei medici incaricati le verifiche sulle condizioni, che l’assistenza continua alla persona è assistenza vitale, così anche la dipendenza meccanica non esclusiva garantita attraverso l’impiego di supporto ventilatorio (Cpap) nelle ore di sonno notturno. Emerge che, rispetto alla procedura eseguita di riscontro delle condizioni di una persona malata in Friuli Venezia Giulia, risulta non fondato e paradossale il diniego ricevuto invece nel Lazio da Sibilla Barbieri, anche lei dipendente da trattamenti vitali, ma costretta a morire in Svizzera».
«Con grande fatica – ha aggiunto Gallo – Anna ha voluto depositare personalmente dai Carabinieri l’esposto contro Asugi e partecipare sempre in persona alla prima udienza civile in tribunale a Trieste, che ha poi emesso una ordinanza di condanna di Asugi ad applicare la sentenza della Consulta. Così come avrebbe dovuto fare già nel novembre 2022 quando aveva ricevuto la richiesta da Anna, l’azienda sanitaria ha dato applicazione alla decisione del giudice del tribunale di Trieste e, sussistendo tutte le condizioni indicate dalla Corte Costituzionale con sentenza 242/19, si è fatta carico dell’intero percorso. Ha dunque messo a disposizione il farmaco, la strumentazione e il personale sanitario su base volontaria. Abbiamo vigilato sull’intera procedura, a volte sollecitando alcuni passaggi».

Negli ultimi 12 mesi l’Associazione Luca Coscioni, attraverso il numero bianco coordinato dalla compagna di Dj Fabo, Valeria Imbrogno, ha ricevuto 13.977 richieste di informazioni sulle tematiche del “Fine vita”. Una media di 38 richieste al giorno (sabato e festivi compresi) con un aumento del 24% rispetto ai 12 mesi precedenti”

L’opposizione, «Strada in discesa si va verso la deriva». Monsignor Antonio suetta e Jacopo Coghe uniti sulla stessa linea

Di Teresa Terribile
«Rispetto e umana pietà per Anna, ma siamo davanti ad una scelta certamente non libera ma condizionata da una drammatica situazione’». A sottolinearlo appena ufficializzata la notizia della morte di Anna, è stato Mons. Antonio Suetta, vescovo di Ventimiglia-Sanremo da sempre in prima linea sui temi legati al fine vita, parlando della storia di Anna ma soprattutto della scelta per cui ha combattuto fino alla fine.

«Se penso a questa persona – ha detto il vescovo- provo sentimenti di umana pietà. Comprendo che le persone possano trovarsi in situazioni tali sia dal punto di vista fisico che dal punto di vista spirituale e morale. Per cui da sole non riescono a vedere alcuna via di uscita. Anche se non lo ho mai sperimento sulla mia pelle, posso immaginare. Il problema sta nella cultura di chi porta avanti questo genere di discorsi e nella legislazione dello Stato’». In queste ultime parole una stoccata importante su quanto accaduto perchè Mons. Suetta ha voluto ricordare che «la vita è un bene indisponibile e che come tale non deve essere mai violato».

L’alto prelato ha voluto affrontare la questione anche da un punto di vista antropologico: «Siamo davanti ad una falsa soluzione. La vera risposta sta da una parte nella medicina: e conosciamo quanto le cure palliative abbiano fatto notevoli progressi, quindi opportunamente il malato è messo al riparo da dolori insopportabili. E, soprattutto, bisogna che lo Stato impari a ragionare in termini di cura. La cura non è solo la terapia medica o farmacologica. E’ farsi carico della persona in tutti i suoi aspetti». Ecco perché secondo il vescovo di Ventimiglia, siamo in presenza di una «falsa compassione che si fa scudo di una paura, di una sofferenza purtroppo reale delle persone e sceglie alla fine la via più comoda per la società. È un atto di egoismo, di cinismo da parte della società. Il motore vero sono i costi».

A rafforzare tale posizione ci ha pensato Jacopo Coghe, portavoce di Pro Vita & Famiglia onlus che ha parlato all’Adnkronos in questi termini: «La vicenda della donna triestina di 55 anni che ottenuto, lo scorso 28 novembre, il suicidio assistito con l’assistenza diretta del servizio sanitario nazionale, conferma che la sentenza Cappato del 2019 pronunciata dalla Consulta, scavalcando il Parlamento ha aperto le porte alla morte di Stato». «Da oggi in Italia – ha poi sottolineato- pur in assenza di una legge è possibile attraverso il servizio sanitario porre fine alla propria vita con il suicidio assistito, di fatto sono state spalancate le porte all’eutanasia».

Per Coghe «una volta concessa la possibilità di farsi ammazzare da altri a causa di sofferenze fisiche o psichiche, nulla impedirà di lasciarsi ammazzare anche per qualsiasi altro motivo, purché lucidamente espresso. Tutti i limiti cadranno». «È paradossale che il Servizio Sanitario Nazionale risponda alle richieste di morte in assenza di un diritto a morire, che di fatti non c’è in Costituzione e non potrà mai esistere. L’unico diritto, infatti, è quello alla tutela della vita, in ogni sua fase e in ogni sua condizione, e ad essere accompagnati con cure palliative, hospice e assistenza anche ai familiari. Chiediamo allo Stato di moltiplicare i finanziamenti e gli investimenti sulle cure palliative e di dare piena dignità e riconoscimento ai caregiver, dando ai malati e ai sofferenti reali alternative alla tentazione di lasciarsi morire, sentendosi un peso per i propri cari».

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