Home Italia L’indignato, i giochini dei “Caporali d’impresa”. Di Tito Di Maggio

L’indignato, i giochini dei “Caporali d’impresa”. Di Tito Di Maggio

Siamo nel 1899, un gruppetto di amici Cacherano di Bricherasio, Goria Gatti, Biscaretti di Ruffia, Ferrero ed Agnelli, solo per ricordarne alcuni, fondarono la FIAT, acronimo che sta per Fabbrica Italiana Automobili Torino. Siamo in piena rivoluzione industriale. L’Italia con i suoi Capitani di Impresa si distingue in molti settori.

Ad esempio, pochi sono disposti a credere, oggi, che l’avanguardia nel mondo dell’elettronica o dell’aereonautica fosse in Italia. Ebbene sì, siamo stati i pionieri in questi campi. Giovanni Battista Caproni fonda nel 1910 la Società d’Aviazione Fratelli Caproni; nel 1912 il veivolo ‘Ca 12’ conquista il titolo mondiale di velocità. A Ivrea, nel frattempo, l’ingegnere Camillo Olivetti, siamo nel 1908, fonda la Olivetti, Prima Fabbrica Italiana Macchine per Scrivere. Gli sviluppi di questa azienda credo li conoscano in molti, compresa la storia di Adriano Olivetti un altro genio e filantropo dell’imprenditoria Italiana. Pochi però, nell’epoca di Google ed Apple, sono disposti ad accettare che il primo computer che la storia ricordi è, appunto, un Olivetti: ‘Programma 101’, desktop computer.

Altri nomi ancora potremmo aggiungere al genio italiano del secolo scorso: dai Florio a Enzo Ferrari da Leonardo Del Vecchio (Luxottica) ai Ferrero, solo per citarne alcuni. A rileggere la storia dell’impresa Italiana c’è, veramente, di che essere orgogliosi.
Qualcosa cambia però; dopo la seconda guerra mondiale, l’intervento dello Stato, in quel momento necessario, per aiutare le imprese, introduce il germe dello statalismo che, dall’IRI in poi, subisce tutta una serie di mutamenti e trasformazioni tanto da diventare il cancro del nostro attuale sistema imprenditoriale. Vediamone le ragioni e qualche esempio.

La storia e le storie di quei bellissimi nomi che ho appena ricordato, hanno nulla a che vedere con i vari Benetton, De Benedetti, Berlusconi, Caltagirone, Mercegaglia, Elkann, Farinetti.

Per una serie di giochini che il nostro lettore conosce bene, i ‘caporali d’impresa’ – perché altro non sono – che ho appena citato, ma ai quali, purtroppo, se ne possono aggiungere molti altri, hanno ben capito, che senza grande fatica, si possono mungere le casse dello Stato condividendo con la Politica i lauti profitti.

Un esempio spicciolo??? Cassa integrazione ordinaria e straordinaria; parliamo di quella forma di aiuto nella quale lo Stato, attraverso l’Inps, paga i dipendenti delle aziende in difficoltà. A grandi linee, diciamo che si può fare ricorso a queste forme di aiuto nel loro insieme per un massimo di 4 anni. Bene, ci sono molte aziende che, minacciando lo spauracchio di licenziamenti, si allattano da questo beneficio per 15 se non addirittura 20 anni. Aziende che, anziché fallire come è giusto che sia, teniamo in piedi con i soldi del contribuente. ‘E io pago’, direbbe Totò.

Vale poco ricordare che il meccanismo è perverso: diamo soldi per tenere in vita aziende morte e sottraiamo fondi ad aziende che potrebbero dare occupazione. Ho provato molte volte in Parlamento a sottolineare il concetto… ma parlavo al sordo che non vuol sentire.

Un esempio eclatante? Di quella meravigliosa FIAT della quale parlavo all’inizio di questo articolo non v’è più nulla; non saprei dire cosa esiste dopo gli innumerevoli passaggi e fusioni: una multinazionale? una finanziaria? una holding? Giuro che non lo so. So bene invece che nella galassia di quella che una volta era la FIAT c’è di tutto, dall’editoria alle assicurazioni all’immobiliare e molto altro ancora. So pure che pagano le tasse in Lussemburgo. E so anche che continuano a chiedere tavoli Ministeriali per discutere di produzione e di lavoratori, minacciando drastiche riduzioni di personale qualora lo Stato non faccia la sua parte.

Basterebbe una semplice domanda al Signor Elkann: lo Stato non è socio della sua attuale ‘Stellantis’, di grazia, a che titolo chiede questi danari? O peggio e di più potremmo chiedere: “Gentile Signor Elkann, visto che dal 1975 ad oggi, a vario titolo, abbiamo conferito nelle casse della sua società 220 miliardi di euro, Le saremmo grati se volesse passare presso i nostri uffici del Ministero delle Finanze in via Veneto in Roma, per affidare una “due diligence” ad una società terza, volta a verificare se la maggioranza del pacchetto azionario è ancora Suo o dello Stato Italiano. Con viva cordialità. Il Ministro pro tempore”.

Ecco, con il copia incolla, questo tipo di missiva la si potrebbe spedire a molti di questi pseudo imprenditori da….
’Mi faccia il piacere’ come li apostroferebbe il grande Totò. Peccato che non ci sia nulla da ridere.

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