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venerdì 27 Settembre 2024
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Aborto, in Puglia 8 medici su 10 sono obiettori di coscienza: «È un diritto negato»

Su 738 ginecologi in organico in Puglia, ben 593 (l’80%) sono obiettori di coscienza. È quanto denuncia la Cgil Puglia a seguito dei dati diffusi dal dipartimento della Salute in occasione della Giornata internazionale per l’aborto libero e sicuro che ricorre domani, 28 settembre.

Il sindacato ha scritto al presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, per chiedere «la piena esigibilità di un diritto conquistato grazie alle lotte delle donne e oggi fortissimamente messo in discussione, sia da scelte politiche che dalle criticità in cui versa il Sistema sanitario nazionale».

In Puglia, evidenzia la segretaria regionale Filomena Principale, non viene garantita un’adeguata copertura del territorio in relazione ai presidi ospedalieri in cui si effettuano interruzioni volontarie di gravidanza (Ivg), «minando così il pieno rispetto del diritto a una scelta libera e consapevole, da parte delle donne».

Analizzando i dati diffusi dal dipartimento Salute, la sindacalista evidenzia che «al Policlinico di Bari il numero di ginecologi obiettori è del 96%; ai Riuniti di Foggia il 92%; si sale al 100% all’ospedale di Andria, così come al Miulli, a Casa sollievo di San Giovanni Rotondo, all’ospedale civile di Martina Franca. Sono il 96% al Santissima Annunziata di Taranto, il 73% al Perrino di Brindisi».

A livello provinciale, poi, «tra strutture pubbliche e private l’obiezione interessa il 93% dei ginecologi nel Tarantino, il 90% in provincia di Foggia».

Per questo, la Cgil chiede al presidente della Regione di garantire in tutto il territorio pugliese «l’accesso a un aborto libero e sicuro attraverso strutture e personale non obiettore in numero adeguato alle esigenze e alle caratteristiche geografiche dei diversi territori; tempistiche certe di pieno rispetto della volontà e della salute delle donne; il ricorso alle pratiche di Ivg più sicure e meno invasive, per il corpo delle donne; il rispetto del target minimo di un consultorio pubblico ogni 20 mila abitanti; assunzioni del personale necessario per garantire i servizi di prossimità; il divieto per le associazioni antiabortiste di entrare nelle strutture pubbliche dove si effettua la prima visita e l’accesso all’Ivg per garantire la libera scelta delle donne».

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