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domenica 6 Ottobre 2024
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Droga nell’auto per incastrare l’amante: quello strano blitz della Finanza dopo minacce e pedinamenti

Le offese, le minacce, i pedinamenti e le citofonate a tutte le ore del giorno e della notte. Poi un crescendo, culminato in quell’involucro di colore azzurro trasparente, come “una palla da biliardo”, 26 grammi di cocaina sotto il sedile della Smart bianca.

Nel racconto dell’imprenditore vittima del piano criminale, del quale sono accusati gli avvocati Gaetano Filograno e Nicola Loprieno, ci sono elementi forti, ma talmente solidi da portarlo poi ad una liberatoria sentenza di assoluzione. Un racconto, una sorta di spy story, fatta anche di pregiudicati che fanno da palo, di finanzieri distratti che si appostano in un bar, che confondono la Smart con un’altra parcheggiata poco distante, poi perdono di vista il presunto spacciatore, lo ritrovano, lo vedono in auto con altre due persone, ma non lo fermano. Per poi riprovarci l’indomani e fermarlo quando, da solo, stava andando a prendere sua figlia per portarla a pranzo fuori.

Una serie di anomalie, di strane circostanze, che anche la giudice monocratica, Anna Perrelli riporta, il 7 giugno 2017, nella sua sentenza di assoluzione. Proprio come il “bilancino di precisione” sequestrato dai finanzieri a casa dell’imprenditore, che tanto preciso non era visto che, come si legge negli atti, non segna il peso nemmeno quando i militari provano con uno, due, tre pacchetti di sigarette. E si rivelerà invece essere una bilancia Ikea utilizzata dall’uomo per pesare riso e pasta durante una dieta.

«Adesso chiudila questa storia – “consigliava” inizialmente Filograno, per poi rincarare la dose – So che sei una brava persona, so dove abiti e so che hai una figlia, rischi grosso». Lo riporta anche la giudice Perrelli nella sentenza di assoluzione, e si rifa anche alla testimonianza della donna contesa, «assolutamente concorde e combaciante con quella dell’imputato». Ma non solo: «Di rilevante spessore risultano essere alcune circostanze – aggiunge – In primo luogo le minacce del marito di avere conoscenze importanti, anche tra le forze dell’ordine, e che, pertanto, avrebbero potuto porre sotto controllo la sua utenza telefonica e che (sempre codeste conoscenze) “avrebbero potuto metterla in difficoltà”; in secondo luogo le accuse, sempre rivoltele dal marito e tutte finalizzate a dimostrare la sua incapacità di tenere ed educare i figli, di frequentazioni con “bruttissima gente e che pertanto [era anche lei] diventata una tossica”».

I verbali dell’udienza, ma anche la sentenza stessa riportano anche un episodio «piuttosto singolare – lo definisce la giudice – con un volto noto alla donna in quanto gestore del garage situato nelle immediate vicinanze dello studio legale del suocero, in via Calefati. Gli incontri col suddetto sarebbero stati due: al primo, tuttavia, non fu dato peso alcuno; mentre il secondo destò nella signora ansia e preoccupazione in quanto, dopo pochi minuti dallo stesso, la donna veniva “bombardata di telefonate dal marito”, che l’avrebbe poi insultata pesantemente, facendole sorgere il fondato sospetto che gli incontri non fossero casuali ma che l’uomo seguisse i suoi spostamenti».

E, infine, dopo aver espresso le sue considerazioni sul comportamento anomalo dei finanzieri, conclude: «Il contesto in cui si è inserita la vicenda, ampiamente emerso nel corso del dibattimento e supportato dalla denuncia sporta in data 6.3.2014 (quindi antecedentemente ai fatti di cui è processo) fa ritenere fondato l’assunto difensivo secondo cui la sostanza stupefacente possa essere stata posizionata da terzi all’interno dell’autovettura a sua insaputa, magari proprio da uno dei soggetti pregiudicati che spesso l’imputato vedeva aggirarsi sotto casa».

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