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lunedì 14 Ottobre 2024
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Gli intrecci pugliesi di Matteo Messina Denaro: i prestanomi e le inchieste sul boss di Cosa Nostra

Durante la sua lunga latitanza Matteo Messina Denaro ha potuto contare sul sostegno, non solo dei suoi familiari, ma di una rete di prestanomi e faccendieri che hanno permesso di portare avanti le sue attività illecite, continuando a concludere affari e intascare profitti. Una rete che non era circoscritta a Castelvetrano, sua città natale, ma con ramificazioni in Sicilia e in molte regioni al di là dello Stretto. Come la Puglia, dove la procura di Bari ha indagato sulla presenza di prestanomi riconducibili al capo di Cosa Nostra con il coinvolgimento di imprenditori locali e istituti di credito. Un giro vorticoso di società, attive soprattutto nel mondo dell’edilizia, conti correnti bancari e articolate strutture imprenditoriale, che finirono per interessare anche la banca del credito cooperativo di Alberobello e Sammichele con interessamento della procura nazionale antimafia sulla gestione di alcuni depositi bancari con operazioni di trasferimento accreditamento che rimandavano a personaggi già interessati da provvedimenti adottati dalla procura di Trapani e dalla successiva confisca di beni per 25 milioni di euro.

La vicenda – che porterà al commissariamento dell’istituto di credito di Alberobello – risale a quasi dieci anni fa e rappresenta, secondo la ricostruzione degli inquirenti, un classico esempio di tutela degli interessi mafiosi finalizzati al compimento di operazioni di acquisizione di società e progetti di speculazione edilizia con presunto riciclaggio di soldi provenienti da traffici illeciti. al centro dell’inchiesta, partita da Trapani e arrivata in Puglia, la realizzazione di 15 villette su un terreno precedentemente confiscato alla mafia. A realizzare il complesso edilizio la Smg srl con sede ad Alberobello che sarebbe stata al centro di un passaggio di quote, poi finite sotto il controllo di imprenditori in odore di mafia e riconducibili al clan trapanese di Vincenzo Virga che, secondo i magistrati siciliani, sarebbe il paravento del boss Matteo Messina Denaro durante la latitanza del capo di Cosa Nostra. Nella ricostruzione degli inquirenti le quote della Smg srl sarebbero state cedute da una imprenditrice pugliese che sedeva nel consiglio di amministrazione della banca del credito cooperativo di Alberobello e Sammichele, per la quale la banca d’Italia, attraverso un’attività ispettiva, chiese il commissariamento e la nomina di un comitato di controllo anche per fare piena luce su alcune operazioni irregolari emerse durante l’ispezione.

La domanda a cui cercarono risposta i magistrati baresi era a cose fosse finalizzata la presenza dell’ex socia del prestanome di Messina Denaro all’interno del Cda di una banca, dove transitarono, tra l’altro, oltre due milioni di euro in una serie di operazioni sospette.

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