Home Attualità Michele Lobaccaro, chitarrista dei Radiodervish: «Con “Cuore meridiano” raccontiamo il Mediterraneo»

Michele Lobaccaro, chitarrista dei Radiodervish: «Con “Cuore meridiano” raccontiamo il Mediterraneo»

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Dagli Area a Franco Battiato, passando per lo chansonnier franco-greco Georges Moustaki fino al cantautore berbero Idir: i Radiodervish esplorano quattro loro autori di riferimento in “Cuore meridiano”. Il nuovo progetto discografico verrà presentato in anteprima alla Libreria Prinz Zaum di Bari, in un colloquio con Luca Basso, alle 20 di venerdì, in coincidenza con l’uscita sulle piattaforme digitali di questo brillante gioiellino. Al telefono, mentre il caffè gorgoglia nella moka, e ciliege e albicocche di stagione aspettano sul tavolo, Michele Lobaccaro, autore e musicista del gruppo, spiega l’idea dietro l’Ep.

Partiamo dal suono che avete scelto. Oggi nella musica c’è tanto digitale, si suona sempre meno. Nel vostro caso trovo invece che l’elettronica si presti al suono, senza sovrastarlo. Come coesistono le due cose?
«Per noi è così da sempre. Abbiamo cercato di far convivere un suono analogico con le soluzioni elettroniche, seguendo il nostro gusto, dosando. Partiamo sempre nella composizione dagli strumenti acustici: chitarra, voce, piano senza però preclusioni di alcun tipo verso suoni sintetici. Nei nostri dischi abbiamo chiesto spesso la collaborazione di Andrea Senatore e Alessandro Pipino che sul tema elettronico sono stati fondamentali».

Restando sugli arrangiamenti, ho trovato “La stagione dell’amore” molto delicata, come l’operazione di riarrangiare una figura come Battiato. Come si entra in punta di piedi, nell’approccio a un brano così?
«Abbiamo cercato di farlo nostro, rispettandone però la composizione, l’intro originale elettronica, inserendo poi una coda completamente acustica, immaginando un sound che omaggiasse i lavori più intimi di Battiato, per tirarne fuori le parti liriche, romantiche, meno pop».

Passiamo al vostro inedito, “Giorni senza memoria”, trovo sempre interessante capire cosa porta all’idea di una canzone, il propulsore…
Tutto è nato dall’insopportabilità retorica riguardante la Giornata della memoria, dolore del passato che spesso viene strumentalizzato. La Shoah è stata una tragedia per l’umanità, ma non è stata l’unica, come spesso viene venduta. Basti pensare a quello che sta succedendo a Gaza. La memoria è una cosa preziosa, è in ogni caso importante onorarla, mettendo sullo stesso piano tutti i crimini contro l’umanità».

Folk algerino, chanson française, c’è profumo di mediterraneo in “Pourquoi cette pluie”. Cosa vi ha spinto a scegliere il brano di Idir?
«Il criterio è stata l’idea di raccontare un mediterrano in dialogo. Valori e suoni che ritornano in tanti cantautori anni ’70 e ’80 messi al margine successivamente da un appiattimento musicale derivato dalla globalizzazione della musica, relegando l’etnico a una cartolina da tenere in tasca. Il titolo stesso dell’album è una parafrasi del “Pensiero meridiano” di Franco Cassano che già negli anni ’90 portava avanti l’idea di una specificità mediterranea, di valori che si contrappongono a quelli globalizzanti».

Parliamo di “spazi”, quanto è difficile trovarne di predisposti, adatti all’ascolto per un musicista?
«C’è bisogno di educare all’attenzione. L’ascolto veloce, distratto, derivante da scroll e cellulare, è figlio del tempo che viviamo. Gli spazi esteriori sono importanti ma presuppongono una capacità di riprendersi il tempo interiore di ascolto. Tornare a prendersi il lusso di scegliere un disco e, perché no, ascoltarlo dall’inizio alla fine».

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