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Pnrr e sanità, Mezzogiorno in netto ritardo e la rimodulazione resta un rebus

Nord e Centro avanti, Sud in netto ritardo: il dossier della fondazione Gimbe sullo stato di attuazione del Pnrr in ambito sanitario fotografa ancora una volta un’Italia a due velocità, con Puglia e Basilicata che non brillano per quanto riguarda l’attivazione di ospedali, case di comunità e centri operativi territoriali. E la rimodulazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, di cui il ministro Raffaele Fitto è stato primo e tenace sostenitore, rischia di ridimensionare ulteriormente le ambizioni di una sanità che avrebbe invece bisogno di strutture, mezzi e personale.

I numeri, dunque. Delle 1.430 case di comunità da attivare entro il 2026 in base a quanto previsto dalla Missione 6 del Pnrr, solo 187 risultano in funzione: la stragrande maggioranza in Lombardia, le altre sparse tra le altre regioni settentrionali e il Centro, nessuna al Sud. Quanto ai 611 centri operativi territoriali previsti entro il 2024, ne sono attivi 77 e nessuno di questi si trova più giù di Roma. Infine gli ospedali di comunità: 434 sono quelli da avviare entro il 2026, 76 quelli già operativi sul territorio nazionale e solo sei di questi si trovano in Puglia. Dati alla mano, l’affanno del Mezzogiorno è evidente: «Un ritardo imputabile non a inefficienze locali – spiega Nino Cartabellotta, presidente della fondazione Gimbe – ma semplicemente al punto di partenza dell’assistenza territoriale nelle regioni meridionali».

Scendendo nel dettaglio della Puglia, qui risultano attivi sei ospedali di comunità, mentre le strutture da edificare entro il 2026 sono 53 in tutto: 38 case di comunità, quattro centri operativi territoriali e undici ospedali di comunità. Performance addirittura peggiore per la Basilicata, dove non risulta in funzione alcuna delle strutture previste. Eppure, Pnrr alla mano, a Potenza e dintorni si attende la realizzazione di dieci case di comunità, sei centri operativi territoriali e un ospedale.

In questo contesto si inserisce la rimodulazione del Pnrr, destinata a incidere anche sul comparto sanitario. Attraverso la proposta inviata a luglio alla Commissione europea e non ancora ratificata dal Consiglio, il governo Meloni chiede di “cancellare” 414 case di comunità, 76 centrali operative territoriali, 96 ospedali di comunità e 22 interventi antisismici. Nel documento, inoltre, si invoca il differimento delle scadenze per i vari obiettivi finali e intermedi: sei mesi di tempo in più per le centrali operative territoriali, un anno per le persone assistite attraverso la telemedicina e per l’ammodernamento del parco tecnologico e digitale ospedaliero. La rimodulazione, dunque, riguarderebbe prevalentemente i nuovi edifici da realizzare, che in realtà risultano di numero inferiore secondo quanto rilevato dall’Agenas. E qui c’è il rebus: «La rimodulazione – evidenzia Cartabellotta – prevedrebbe di espungere, oltre quelli da realizzare ex novo, ulteriori 105 case di comunità, 87 centri operativi territoriali e due ospedali di comunità con criteri e distribuzione regionale al momento non noti». Il Sud, dunque, potrebbe essere costretto a rinunciare a diverse strutture. Anche perché, sempre nelle intenzioni del governo Meloni, gli investimenti espunti dovrebbero essere realizzati utilizzando le risorse del programma di investimento non spese dalle Regioni e i fondi della politica di coesione. «Ma questa previsione – conclude Cartabellotta – è irrealistica alla luce delle difficoltà delle Regioni. Peraltro non è chiaro come attuare il meccanismo compensatorio tra Regioni, visto che l’entità dei fondi non utilizzati non coincide con la distribuzione regionale delle strutture cancellate dal Pnrr».

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