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sabato 21 Settembre 2024
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Roberta Bruzzone sul caso di Michelle Baldassarre: «Ha usato coltello e fuoco per garantirsi la morte»

«Trovo assolutamente fondata la richiesta di archiviazione, tutti gli elementi, sia circostanziali sia medico legali sia psicologici, convergono sull’ipotesi suicidiaria, direi in maniera insuperabile». Roberta Bruzzone, criminologa e psicologa forense, analizza il caso di Michelle Baldassarre.

Un gesto, però, che ha fatto molto discutere.

«C’è la benzina acquistata da lei, nello zainetto il contenitore, il coltello riconosciuto come proveniente dal set che avevano a casa. Elementi perfettamente coerenti con il quadro psicologico».

Che intende?

«Si tratta di un soggetto con disturbo di dipendenza, depressione e un precedente tentativo di suicidio. Non vedo nessuna strada alternativa. Purtroppo, per quanto possa sembrare a chi non è esperto di queste dinamiche, e lo comprendo, abnorme e incomprensibile, non restano dubbi».

È stato definito un suicidio complesso, seppure pianificato. Sono stati usati due mezzi.

«Il fatto che ci siano meccanismi ridondanti, volti a togliersi la vita, non deve stupire: la maggior parte dei suicidi cerca di garantirsi la morte con diversi meccanismi. L’evento non è incoerente, peraltro il colpo con il coltello non è stato mortale, ragion per cui non riuscendo a morire ha accelerato, dandosi fuoco. E poi, per una che si muove con la bici elettrica, comprare 10 euro di benzina, faccio fatica a collocarlo diversamente».

Ci chiarisca l’uso delle due “armi”.

«Non facciamoci ingannare dalla modalità cruenta, fuoco e arma da taglio sono spesso usati e in rapida successione, per garantirsi l’evento morte quando la volontà è solida».

Torniamo al ritratto psicologico.

«Da tutte le testimonianze emerge un quadro perfettamente descritto dal professor Catanesi nella sua consulenza, c’è la grande paura del futuro per la separazione da un marito, descritto come maltrattante sotto il profilo psicologico e fisico, ma anche un soggetto a cui lei aveva delegato tutte le decisioni sulla sua vita. A me personalmente (e faccio questo lavoro da 25 anni, casi di questo genere ne ho studiati moltissimi) sembra tutto perfettamente coerente con il quadro suicidiario».

C’era un modo per evitarlo?

«Credo di no, lei difficilmente parlava di sé, si confessava, per non essere giudicata inadeguata, non si è mai confidata su quella intenzione e non ha mai mostrato segni evidenti di malessere per il timore di esser considerata inadeguata o rifiutata. Se l’è tenuta per sé».

Quanta prevenzione si può mettere in campo in questi casi?

«Quello dei suicidi è una problematica molto seria, il nostro Paese negli ultimi 20 anni ha registrato 4.000 morti per suicidio all’anno, ci sono protocolli fiscali per valutare in sede clinica, ma se ci si rivolge, la maggior parte non lo fa».

La rete sociale dov’era?

«Anche al primo tentativo, quando lei è andata in ospedale, hanno dichiarato che si era trattato di incidente domestico, che si era fatta male maneggiando un vaso. Anche dal punto di vista del sistema sanitario, se non è emerso nulla, non poteva attivarsi. Purtroppo era un momento critico per lei, da un lato denuncia il marito ma in realtà lei da quel marito dipendeva profondamente, si è sentita sola e incapace di gestire il suo futuro. Una gran brutta storia che somiglia a tantissime altre, un’occasione di più per sottolineare l’importanza di stare vicini a vittime di violenza soprattutto con personalità così fragili».

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