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lunedì 7 Ottobre 2024
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Soldi per visite e farmaci contro i tumori a Bari: portato in carcere l’oncologo Vito Lorusso

Le porte del carcere si sono aperte per l’oncologo barese Vito Lorusso, papà della ex consigliera comunale Maria Carmen e suocero dell’ex consigliere regionale, Giacomo Olivieri (anche lui in cella dal 26 febbraio scorso). Il medico è da qualche giorno in cella nell’istituto detentivo di Turi (quello dove è nel novembre 1926 fu rinchiuso Antonio Gramsci).

La condanna definitiva

Il trasferimento in carcere, dai domiciliari (disposti nell’ambito dell’inchiesta Codice Interno) dove si trovava dal 26 febbraio, è stato eseguito dagli agenti della sezione di polizia giudiziaria del tribunale di Bari, su disposizione del procuratore capo, Roberto Rossi, dopo che la sua condanna a 5 anni (patteggiata il 14 maggio scorso) è diventata definitiva.

L’arresto e le accuse

Ai polsi dell’allora direttore e responsabile dell’Unità operativa oncologica medica dell’Ircss Giovanni Paolo II di Bari, il 70enne Vito Lorusso, le manette scattarono il 12 luglio 2023 con le accuse di peculato e concussione. Secondo la pm Chiara Giordano, che aveva coordinato le indagini condotte dalla polizia, Lorusso in più occasioni aveva rivenduto ai pazienti farmaci antitumorali, appropriandosene dall’Istituto.

La denuncia e il blitz

Dopo aver raccolto la denuncia di una parente di un paziente deceduto, e dopo aver documentato per 22 giorni grazie alle telecamere piazzate nella sua stanza, che quotidianamente intascava soldi per visitare pazienti in “follow up”, il 12 luglio un sostituto commissario e un vice ispettore della polizia giudiziaria fecero irruzione nel suo ufficio. E in quello studio, al primo piano, a destra del corridoio che conduce al reparto, lo perquisirono, trovando nella sua tasca ancora le 4 banconote da 50 euro che il paziente gli aveva appena dato, e nel portafogli altri 800 euro.

Il “benefattore”

Secondo gli investigatori e la pm Chiara Giordano, Vito Lorusso metteva in condizione i pazienti di considerarlo “la persona che gli ha salvato la vita”. Del resto, lui stesso dopo l’arresto, aveva continuato a dipingersi come benefattore, sostenendo che per lui «è importante la vita».

E invece, hanno solo nella giornata dell’11 luglio le microspie avevano registrato ben 4 episodi. Il modus operandi, riscontrato poco prima dell’arresto, secondo gli inquirenti, era sempre lo stesso: rassicurava il paziente che si sarebbe fatto carico egli stesso di leggere il referto della Tac, ancor prima del paziente stesso, per poi riferirgli che il 02 agosto (data fissata per l’infusione della terapia) “l’avrebbe visto lui perché giù … (facendo riferimento all’ambulatorio) ci sarà la coda e io cerco di aiutarti”, fissandogli altri due appuntamenti, di cui uno precedente e uno successivo alle sue ferie, in modo tale da esserci, da rendere indispensabile per il paziente la sua presenza in studio, perché tutto fosse supervisionato da lui.

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