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venerdì 18 Ottobre 2024
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Ucciso per “risentimento”: l’assurda morte del fisioterapista Mauro Di Giacomo a Bari

Ucciso per risentimento, “punito” perché accusato di aver provocato danni fisici e psicologici a quella figlia mai cresciuta, alla sua “bambina”.

Mauro Di Giacomo, il fisioterapista 63enne ammazzato la sera del 18 dicembre 2023 nei pressi della sua abitazione in via Tauro, al quartiere Poggiofranco di Bari, è stato vittima della furia di Salvatore Vassalli, 58enne di Canosa di Puglia. Professione carpentiere, padre e marito di Ornella e Stefania, è stato arrestato ieri mattina dagli agenti della Squadra Mobile (coordinati dal dirigente Filippo Portoghese) con l’accusa di omicidio aggravato dalla premeditazione e dalla crudeltà.

Il movente? Un esplosivo risentimento alimentato dalle continue recriminazioni di sua figlia Ornella, che il 5 settembre 2019 si era sottoposta, per la prima e unica volta, a un trattamento nello studio privato in cui lavorava il pomeriggio Di Giacomo.

Da quel giorno, avvolgendo il nastro delle indagini a ritroso, per la vittima era iniziato il percorso fatale. Nelle settimane successive, Ornella Vassalli aveva lamentato dolori forti a braccio e spalla, a suo dire causati dal trattamento fatto. Di Giacomo se ne era professionalmente preoccupato, consigliandole esami specifici, ma poi non ne aveva saputo più niente, fino a quando nel 2020 aveva ricevuto la comunicazione di una causa civile, intentata dalla donna contro di lui.

E Ornella Vassalli, docente di discipline pittoriche in provincia di Viterbo, ci era andata pesante, allegando una perizia della sua psicologa che aveva diagnosticato gravi problematiche. Per la donna, il trattamento a cui l’aveva sottoposta Di Giacomo era la causa di tutti i suoi mali.

Di parere opposto il professionista, ma anche il perito che in giudizio, dinanzi al tribunale di Trani, aveva ipotizzato un’invalidità fra il 3 e il 4 per cento. Il 7 dicembre 2023, alla prima udienza del processo civile, la causa era stata rinviata al 23 maggio 2024, per l’esame delle richieste istruttorie delle parti. Meno di due settimane dopo, secondo gli investigatori della Squadra Mobile, coordinati dal procuratore aggiunto Ciro Angelillis e dal pm Matteo Soave, Vassalli è entrato in azione, aspettando Di Giacomo sotto casa, di ritorno dal lavoro e dalla spesa al vicino supermercato.

Il racconto dei testimoni ricostruisce gli ultimi momenti di vita del fisioterapista: lui che scenda dall’auto, ha le buste in mano, uno zaino con pc e documenti, la tranquillità di chi rientra a casa. Vassalli gli è difronte, lo affronta, urlandogli contro, i due si spintonano, poi il carpentiere spara, scaricandogli contro l’intero caricatore mentre Di Giacomo tenta di scappare. E quando è a terra, il killer inveisce colpendolo quattro volte al capo con il calcio della pistola, una Beretta calibro 7,65 che non è stata ritrovata. Poi, mentre un testimone urla dal balcone, si infila nella sua Hyundai I10 e si allontana in direzione di via Camillo Rosalba.

Le telecamere di sorveglianza della zona, private e pubbliche, ne tracciano il percorso fino all’incrocio con via Escrivà (a destra) e viale Maria Teresa di Calcutta (a sinistra). È lì che gli inquirenti raccolgono il primo indizio: Vassalli non gira a destra, per riavviarsi verso la tangenziale, ma tira dritto in controsenso, e dopo aver superato un semaforo rosso. La telecamera all’angolo fotografa la targa, parzialmente, e quel segno di un adesivo venuto via, sulla parte posteriore. È da lì che sono partiti gli investigatori, facendo un’accurata ricerca nei data base della Motorizzazione, per individuare tutte le targhe di quel modello e colore, che contenessero i due caratteri alfanumerici individuati.

Delle tre macchine rimaste, una era intestata proprio al padre di quella donna che aveva intentato la causa contro Di Giacomo. La prima conferma alla geniale ipotesi investigativa ha indotto gli agenti a effettuare altre verifiche, sui telefoni cellulari. Il riscontro ottenuto dalle celle ha collocato Vassalli a Poggiofranco quella sera, ma anche il 12 e 14 febbraio, quando il suo telefono era nella zona dello studio di Di Giacomo (nelle stesse ore in cui c’era lui) e della sua abitazione, forse per la pianificazione dell’agguato.

Quell’uomo piccolo di corporatura, con il cappellino di lana a e il giubbotto corto, che si lamentava delle migliaia di euro utilizzate per spese mediche e viveva il dolore della figlia, ma che era bravo ad eludere le indagini, non voleva sbagliare. Ieri mattina, quando gli agenti gli hanno notificato la misura cautelare in carcere emessa dal gip Nicola Bonante, ha risposto: «Che avete in mano?». Questa mattina comparirà dinanzi al giudice per l’interrogatorio di garanzia.

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