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giovedì 10 Ottobre 2024
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Orgoglio pugliese, tra le eccellenze italiane per il magazine Forbes

C’è un’azienda orgogliosamente pugliese tra le realtà più virtuose del panorama nazionale secondo Forbes. Si tratta di Acqua Amata, inserita dall’edizione italiana del celebre business magazine tra le 100 eccellenze italiane. Un successo vertiginoso, per un prodotto orgogliosamente pugliese ma che è salito alla ribalta nazionale e non solo. Iniziata grazie a una coincidenza fortunata, quella di Acqua Amata è una grande storia di un’azienda modello, che guarda al futuro ma resta a misura di famiglia, degna di un film. A raccontarla è Matteo Avella, giovane e dinamico rappresentante della terza generazione di Acqua Amata.

Quella di Acqua Amata è una storia a lieto fine di business made in Puglia?
«Mio nonno Giovanni Antonio Mazzone ha lavorato per una vita come viticoltore, aveva ricevuto da suo padre due ettari di terreni in cui coltivava uva da tavola. Nell’86 riuscì ad ampliare la sua attività acquistando alcuni terreni, alcuni dei quali nelle vicinanze di Adelfia perché si era innamorato della vista. Lì, in modo del tutto casuale, mentre cercava acqua per irrigare i campi in un territorio completamente roccioso, scoprì nel ‘90 una fonte di acqua minerale a 600 metri di profondità. Da subito si accorse che quest’acqua era speciale, anche se in famiglia erano tutti scettici tranne mio padre, giovane architetto che all’epoca era fidanzato con mia madre. A lui mio nonno diede l’incarico di fare analizzare l’acqua e negli anni successivi vennero fatti studi idrogeologici del bacino. Dopo quest’iter mio nonno chiese alla Regione il permesso di ricerca. Completati dopo cinque anni i cicli d’analisi stagionali per verificare la stabilità dei valori, la svolta a dicembre del ‘96, quando è nata l’attuale società, mentre due anni più tardi il Ministero della Salute riconobbe la nostra acqua oligominerale».
Una storia, quella dell’azienda, che si intreccia a quella della famiglia in maniera indissolubile.
«Assolutamente, basti pensare che i miei genitori si sposarono nel ‘95, a settembre del ‘96 sono nato io, pochi mesi prima della società Acqua Amata. Una storia emozionante, ancora mi commuovo pensando che per perseguire questo grande sogno, diedero fondo ai risparmi di una vita, con un investimento di 30 miliardi di lire che richiese la vendita di un’azienda agricola e il ricorso a prestiti bancari. Iniziarono i primi lavori, a gennaio 2001 lo stabilimento di circa 4000 metri era pronto. Ma gli affari non giravano bene all’inizio, nel 2003 rischiammo la bancarotta perché la mia famiglia, non esperta del settore, aveva ingaggiato dirigenti che venivano da grandi realtà del panorama nazionale, che purtroppo erano abituati a lavorare in un contesto diverso da quello di un’azienda appena nata. La mia famiglia provò a vendere tutto ma vennero offerte solo cifre irrisorie. Proprio sul più bello, anziché arrendersi si rimboccò le maniche: la dirigenza fu mandata via, mia madre si formò e si mise a capo dell’azienda. Partì un processo di ristrutturazione aziendale che ci porta fino ad oggi, abbiamo costituito una holding che opera in diversi settori, continuiamo a investire nei settori agroalimentare, immobiliare, energetico, dando lavoro a più di 250 persone».
Che effetto fa il riconoscimento di Forbes?
«Una grande soddisfazione per tutti noi, frutto di un immenso lavoro. Soddisfazione ancor più grande se penso che portiamo, per quanto possiamo in alto, il nome della Puglia».
Oltre al fattore territorio, qual è il segreto del successo di Acqua Amata?
«I nostri punti di forza sono territorialità, affidabilità e qualità. Stiamo investendo molto per prendere sempre nuove quote di mercato anzitutto in Italia, ma stiamo investendo molto nel brand in modo da espandere ulteriormente i nostri confini. Ma un’altra chiave di questi successi è la sostenibilità. Ci riteniamo custodi di una sorgente pugliese, per questo tutte le nostre bottiglie sono in PET 100% riciclabile, che dal 2019 è totalmente riciclato, in modo da ridurre l’emissione di anidride carbonica del 15%. Un materiale che preferiamo al vetro, prodotto ad alte temperature nei forni e che per questo inquina tre volte rispetto al PET. Lavoriamo a consumi energetici ridotti, da dodici anni utilizziamo solo energia proveniente dai pannelli fotovoltaici installati sul nostro stabilimento. In più recuperiamo il 90% dei rifiuti prodotti, che per noi sono una risorsa. Stiamo diffondendo la sensibilità verso l’ambiente con una serie di iniziative, come Ripuliamo, organizzato con MOD events, che nel 2020 ha interessato le città di Polignano, Conversano e Ostuni. E contiamo di portare a breve questo messaggio nelle scuole, in modo da educare i consumatori più giovani».

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