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domenica 8 Settembre 2024
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Giustizia, sprint sulla riforma. Via l’abuso d’ufficio: è bufera. Giudici e opposizione pronti alle barricate

Addio all’abuso d’ufficio, stretta sulle intercettazioni pubblicabili, applicazione della custodia cautelare in carcere rimessa non più a un singolo magistrato ma a un collegio di tre toghe: archiviato il funerale di Silvio Berlusconi, per trent’anni alfiere del garantismo in Italia, il governo Meloni accelera sulla riforma della giustizia. E lo fa attraverso il disegno di legge presentato dal ministro Carlo Nordio e approvato dal Consiglio dei ministri a dispetto delle pesantissime critiche non solo di Elly Schlein e Giuseppe Conte, rispettivamente segretaria del Partito democratico e presidente del Movimento Cinque Stelle, ma anche e soprattutto dei vertici dell’Associazione nazionale magistrati (Anm).

L’abuso d’ufficio

Ma che cosa prevede il ddl Nordio? Innanzitutto lo stop all’abuso d’ufficio di cui l’Associazione nazionale dei Comuni italiani (Anci), capitanata dal sindaco barese Antonio Decaro, aveva chiesto più volte proprio l’abrogazione o, in alternativa, la rivisitazione. Il motivo è presto detto: l’alto numero di pubblici ufficiali finiti sotto inchiesta o addirittura sotto processo per questo reato ha scatenato la cosiddetta “paura della firma” in molti pubblici amministratori, di fatto paralizzando l’attività di Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni o parte di essi. Senza dimenticare che, molto spesso, le inchieste per abuso d’ufficio non hanno portato ad alcun risultato apprezzabile ma nel frattempo, oltre a bloccare l’attività delle pubbliche amministrazioni, hanno devastato la vita di migliaia di dirigenti e funzionari e fatto spendere allo Stato milioni di euro. Qualche numero? Nel 2022 sono stati archiviati 3.536 dei 3.938 fascicoli aperti nel 2022 e nel 2021, in primo grado, sono state pronunciate soltanto 18 sentenze di condanna. Quanto al reato di traffico di influenze illecite, il suo ambito applicativo viene limitato a condotte particolarmente gravi, fuori anche tutti i casi di millanteria, mentre sale la pena minima edittale.

Le intercettazioni

La riforma prevede una stretta sulle intercettazioni pubblicabili da parte dei giornalisti. Potranno essere riportati, infatti, soltanto i colloqui contenuti nei provvedimenti dei giudici. La pubblicazione, infatti, sarà possibile soltanto qualora il contenuto intercettato sia agli atti del processo; in tal caso, il giudice è tenuto a stralciare, oltre i dati personali sensibili, anche quelli relativi a soggetti diversi dalle parti, a meno che non siano rilevanti per le indagini.

L’impugnazione delle sentenze

I pm non potranno appellare le sentenze di assoluzione che riguardano reati di “contenuta gravità”. Potranno essere impugnate dal pm, invece, le assoluzioni per i reati più gravi, compresi quelli previsti dal Codice rosso. Si tratta di uno dei punti probabilmente più controversi della riforma, destinato a scatenare una vera e propria guerra tra il governo Meloni e la magistratura. Già in passato, con la legge Pecorella, si tentò di limitare il potere di impugnazione dei pm; per tutta risposta la norma fu bocciata dalla Corte Costituzionale rimanendo così lettera morta.

La custodia cautelare in carcere

Il ddl presentato dal ministro Nordio prevede anche che a valutare l’applicazione della custodia cautelare in carcere nei confronti di un indagato sia non più un singolo magistrato, ma un collegio di tre toghe. Prima della decisione, inoltre, l’indagato dovrà essere interrogato, a meno che non sussista il pericolo di fuga o di inquinamento delle prove o non si proceda per reati gravi.

Le assunzioni di magistrati

La norma all’esame del Consiglio dei ministri prevede l’assunzione di 250 nuovi giudici, per far fronte alle spaventose carenze di organico che oggi penalizzano i tribunali italiani, e accorcia sensibilmente i tempi del concorso in magistratura. In più, attraverso una norma di interpretazione autentica, il pacchetto di norme proposto da Nordio scongiura l’eventualità in cui siano dichiarate nulle sentenze pronunciate in procedimenti per gravissimi reati di criminalità organizzata e terrorismo alle quali abbiano contribuito giudici popolari con più di 65 anni, limite massimo fissato dalla legge per la loro nomina.

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