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Pd, parla Procacci: «Non è una lotta all’ultimo sangue. Evitiamo di frammentare il partito»

«Dobbiamo respingere l’idea per la quale con Bonaccini vincerebbe l’ala moderata del Pd mentre con Schlein trionferebbe quella radicale, perché così si finisce per spaccare il partito»: ne è convinto Giovanni Procacci, già senatore e tra i fondatori dell’Ulivo guidato da Romano Prodi.

Senatore, domani (oggi, ndr) Bonaccini aprirà il suo tour dalla Puglia. Decaro gli ha già assicurato il proprio appoggio, mentre l’ex ministro Francesco Boccia sembra orientato a sostenere Schlein e altri esponenti dem come Capone sono indecisi. Non c’è il rischio che il dibattito in vista del congresso del Pd spacchi il partito?

«Un concetto dev’essere ben chiaro agli iscritti: chiunque dovesse vincere, sarà il segretario di tutti. Ed è per questo che Bonaccini e Schlein devono farsi carico e rappresentare tutte le sensibilità presenti all’interno del partito. Altrimenti, in caso di successo di questo o di quella candidata alla segreteria, nel Pd ci saranno sempre iscritti che, non sentendosi rappresentati, cercheranno spazio e ascolto altrove. E il partito non può permettersi simili emorragie».

Alla fine sarà il presidente Emiliano a decidere per tutti gli esponenti pugliesi del Pd?

«Emiliano formulerà una sua proposta. Ma nel partito, anche tra gli esponenti più vicini al governatore, c’è libertà di movimento. E questo è un bene: il dibattito in vista del congresso nazionale non può e non dev’essere una lotta all’ultimo sangue».

Il suo invito a non dividere il partito sembra scontrarsi con il risiko delle alleanze: per Emiliano l’unica possibile è quella tra Pd e Movimento Cinque Stelle, ma altri esponenti del Pd spingono per riavvicinarsi a Renzi e Calenda. Come se ne esce?

«Il problema delle alleanze viene dopo. Il Pd deve innanzitutto affermare la propria vocazione unitaria e riformista, definendo un programma di politiche e valori condivisi e alternativi alla destra. La strategia dev’essere quella che portò alla nascita dell’Ulivo di Prodi».

Così, però, non si corre il rischio di mettere insieme tutto e il contrario di tutto con esiti nefasti per il centrosinistra?

«No, perché all’epoca di Prodi lavorammo su un programma: definimmo una piattaforma comune e su questa costruimmo l’Ulivo. Adesso il Pd deve qualificarsi relativamente a stile e contenuti e solo dopo aver compiuto questo percorso potrà valutare la possibilità di allearsi con chi avrà dimostrato di condividere quello stesso stile e quegli stessi contenuti».

Resta il pericolo delle correnti. Bonaccini vorrebbe azzerarle: obiettivo realistico o utopia?

«Per me l’obiettivo è possibile e realistico. Anzi, guardo con enorme favore alla prospettiva di un azzeramento delle correnti che non sono “scuole di pensiero”, ma soltanto gruppi organizzati che servono a gestire le candidature e a sostenere un ceto politico che ha perso qualsiasi rapporto con la società e che, negli ultimi vent’anni, ha perso quasi tutte le elezioni».

Ma su quali valori va costruita l’identità del Pd?

«L’identità si costruisce su progettualità con grandi obiettivi. Non basta parlare genericamente di lavoro, fisco, immigrazione, scuola, autonomia differenziata. Bisogna capire e far capire, parlando con un’unica voce, che cosa il Pd intende fare su questi temi. Prendiamo l’autonomia differenziata: non possiamo tollerare l’idea di 21 sistemi scolastici diversi che riporterebbero l’Italia all’Ottocento. E non possiamo nemmeno accettare chi, come Piero Fassino, parla di “questione settentrionale”: andrebbe cacciato dal partito».

Bonaccini comincia il suo tour dalla Puglia: è un segnale positivo?

«Certo. Bonaccini è stato accusato di essere tra i principali sostenitori dell’autonomia differenziata. Ora, partendo da Cerignola e da Bari, si propone come segretario di un Pd attento ai problemi del Sud e all’annosa questione delle disuguaglianze. Bene così».

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