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lunedì 14 Ottobre 2024
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Puglia e Basilicata, sfide decisive per le coalizioni

Salvini, Casellati, Conte, Carfagna. I big della politica nazionale decidono di candidarsi in Puglia e Basilicata. No, il motivo non è la bellezza del mare o dei boschi del Pollino. Sono candidature quasi tutte multiple che nascono per tirare la volata alle seconde linee. È evidente, però, che da queste parti si giocano alcune partite nevralgiche per il futuro del Paese. Sia dal punto di vista economico che della geografia del prossimo Parlamento.

Dal dopo Ulivo al fronte progressista

Qui sono nati i primi “ammiccamenti” tra Movimento Cinque Stelle e Partito Democratico, sfociati nel matrimonio in Regione prima e a Roma poi. Sempre qui Nichi Vendola ricostruì una esperienza progressista di governo dopo la caduta dell’Ulivo. In molti casi questa terra ha anticipato dinamiche nazionali; quasi sempre ha rappresentato la porta a Sud per chi ambiva a governare il Paese. Oggi c’è chi guarda alle manovre di Michele Emiliano con sospetto, non avendo ben chiaro in cosa si trasformerà il suo civismo. Anche per questo il centrodestra mira a scardinare l’assetto nato in via Gentile, fatto di ampie alleanze e trasversalità, e schiera i suoi uomini più rappresentativi. Fitto compreso. Di contro il Partito Democratico, conscio dell’importanza della partita, da Roma ha rotto ogni indugio indicando, di fatto, nel presidente della Regione il proprio riferimento politico sul territorio. Giocandosi il tutto per tutto, correndo il rischio di trasformare le politiche in un referendum sulla Regione.

L’importanza per il centrodestra di vincere qui per archiviare definitivamente l’asse Pd-M5s

Da questa terra nascono politicamente i protagonisti di quella alleanza tra Pd e M5s che potrebbe tornare di moda quando, accantonate le urne, si avrà di fronte di nuovo un Parlamento spaccato: da Francesco Boccia a Mario Turco, da Giuseppe Conte a, ancora una volta, gli uomini di Michele Emiliano. Per il centrodestra sconfiggerli qui potrebbe rappresentare una ipoteca sugli equilibri del prossimo Parlamento, così come, al contrario, per il centrosinistra sarebbe il rilancio dell’asse progressista, accantonato in fretta e furia dopo la sfiducia al governo Draghi. Dalla Puglia passano, però, anche alcune scelte strategiche che delineeranno la politica industriale del Paese e la riuscita, o meno, dei progetti di transizione energetica. È anche per questo che qui i partiti non vogliono fallire.

Il nodo dell’ex Ilva e della politica industriale che non c’è

Quello di Taranto è rimasto l’unico centro siderurgico in Italia a produrre acciaio a caldo. Questo significa che le bramme di ghisa realizzate in riva allo Ionio alimentano la lavorazione a freddo negli altri stabilimenti italiani (tutti al Centro-Nord) e fungono anche da “ultima istanza nazionale” in caso di difficoltà nelle importazioni a causa, ad esempio, di un conflitto bellico. È questo il primo punto su cui il prossimo governo dovrà prendere una direzione: aumentare la produzione oltre i quattro milioni e mezzo di tonnellate, ponendo in secondo piano l’impatto ambientale e sanitario e riproponendo lo schema andato avanti per oltre sessant’anni, oppure investire svariati miliardi di euro per ammodernare gli impianti, accantonando l’utilizzo del carbone ma a costo, secondo molti detrattori, di una insostenibilità economica della produzione. Oggi lo stabilimento è gestito da Acciaierie d’Italia, una azienda che ha nel capitale sociale lo Stato, tramite Invitalia, e il privato, Archelor Mittal Italia. Ha grossi problemi di liquidità e paga i fornitori con notevole ritardo.

Il petrolio del “Texas italiano”

L’80% del petrolio italiano è estratto in Val d’Agri. Basterebbe questo per spiegare perché la Basilicata è centrale nelle politiche nazionali. Il recente rinnovo dell’accordo tra Regione, Eni e Shell per le estrazioni, proietta ulteriormente nel futuro quello che molti definiscono il “Texas d’Italia”. Il gas gratis ai lucani come forma di compensazione, annunciato dal presidente Vito Bardi, sarebbe il primo caso di ridistribuzione diretta a cittadini italiani di una parte dei proventi petroliferi. Far funzionare tutto questo facendo andare avanti di pari passo la transizione energetica sarà un tema di cui i prossimi governi dovranno occuparsi.

La sfida energetica tra rinnovabili e Tap

Intorno al gasdotto che dall’Azerbaijan porta il gas in Europa, passando per la Puglia, si è giocato uno dei dietrofront più clamorosi del Movimento Cinque Stelle che prima si è opposto al progetto e poi ha cambiato idea. Oggi è sul tavolo la possibilità di raddoppiarne la capacità, passando da dieci miliardi di metri cubi l’anno a venti. Non servirebbero lavori strutturali ma solo una regolazione tecnica. Non sono numeri in grado di risolvere il problema della chiusura del rubinetto russo, 190 miliardi all’anno di metri cubi, ma su cui si testerà l’indirizzo politico del prossimo esecutivo su un tema cruciale come quello energetico. La Puglia, inoltre, è la prima regione in Italia per energia rinnovabile prodotta. Un tesoro di sole e vento al quale fascino sembrano non riuscire a resistere neanche i big della politica nazionale.

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