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Bari, no all’estradizione del manager russo arrestato al Porto. I giudici: «Venuti meno principi di tutela dei diritti fondamentali»

«La fuoriuscita di uno Stato dal Consiglio d’Europa, nella specie la Federazione russa, determina automaticamente la inoperatività della Convenzione e dei relativi protocolli, ovverosia il venir meno, tra gli altri, dei principi in chiave di garanzia e rispetto dei diritti fondamentali dell’estradato».

Lo scrive la Corte di Appello di Bari nelle motivazione con le quali nelle scorse settimane ha respinto la domanda di estradizione proposta nei confronti del 71enne Gennadii Lisovichenko, dirigente russo arrestato nel porto di Bari su mandato di arresto internazionale emesso dall’autorità giudiziaria della Federazione russa. L’uomo, in carcere dal 20 gennaio al 25 febbraio e poi agli arresti domiciliari con braccialetto elettronico in provincia di Bari, è tornato libero dal 18 marzo. L’ex dirigente del settore petrolchimico è accusato di presunti raggiri societari risalenti al 2018.

I giudici, condividendo la posizione della procura generale sulle ricadute del conflitto in Ucraina, evidenziano che «con la risoluzione del 16 marzo il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa ha decretato la cessazione con effetto immediato della membership della Federazione Russa in seno all’Organizzazione per grave violazione degli obblighi relativi alla tutela dei diritti umani, dello stato di diritto e della democrazia imposti dall’art. 3 dello Stato del Consiglio. Peraltro l’art. 58 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo stabilisce che cessa “d’esser parte della presente Convenzione ogni parte contraente che cessi d’esser membro del Consiglio d’Europa” dopo il decorso di un periodo di sei mesi dal momento in cui tale cessazione sia avvenuta».

Accogliendo i motivi alla base del ricorso dei difensori, gli avvocati Fabio Schino e Andrea Saccucci, la Corte ritiene inoltre che «assumano decisiva rilevanza ostativa alla estradizione le condizioni di salute» dell’indagato per la «oggettiva severità del quadro clinico delineato dai sanitari in epoca recente, per di più associata all’avanzata età». Questo, secondo i giudici, è «concretamente incompatibile» con il regime detentivo in Russia. (ANSA)

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