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domenica 22 Settembre 2024
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Campo largo, parla Marattin (Italia Viva): «Non esiste e la storia di Prodi lo dimostra»

«Sì, il voto di scambio è un fenomeno ancora molto diffuso al Sud e per cancellarlo serve una classe dirigente giovane e capace di costruire un progetto dal basso. Il campo largo in frantumi a Bari? La verità è che un campo largo non esiste, come la vicenda di Romano Prodi aveva già ampiamente dimostrato». ne è convinto Luigi Marattin, economista e deputato di Italia Viva che domani alle 18, nell’hotel Terranobile Metaresort, parlerà di fisco e giustizia da liberali insieme col collega di Azione Enrico Costa.

Onorevole, Bari è travolta dall’ennesima inchiesta, stavolta sul voto di scambio: che idea se n’è fatto?

«Bisognerebbe avere tutti gli elementi che hanno in mano gli inquirenti, per poter parlare con cognizione di causa e non a vanvera o per partito preso come spesso si fa. Io questi elementi non li ho, quindi lascio che a commentare le inchieste siano il gip e, se vi sarà il rinvio a giudizio, i giudici di primo, secondo e terzo grado».

Di sicuro, però, l’inchiesta apre uno spaccato inquietante della politica al Sud…

«Sono nato al Sud e ho trascorso l’infanzia proprio qui in Puglia. E faccio politica da tanto tempo. Quindi le rispondo che sì, il voto di scambio è ancora diffuso. A volte viene colto dal meccanismo giudiziario – e anche lì contano solo le sentenze – a volte probabilmente no. Per scardinare questo e altri fenomeni che rovinano il Mezzogiorno serve una classe politica convinta che il “ma in fondo funziona così, che vuoi fare” sia solo un comodo alibi per continuare indisturbati a gestire le solite dinamiche. Serve una classe dirigente giovane che sappia costruire un progetto dal basso, di lungo periodo, coinvolgendo e liberando le tante energie del Sud che non si rassegnano alla presunta ineluttabilità di questo modo di gestire la cosa pubblica».

L’inchiesta sul voto di scambio è “esplosa” dopo l’invio degli ispettori al Comune di Bari da parte del Viminale: iniziativa doverosa o strumentale?

«Che da parte della destra vi sia stata strumentalità mi sembra fuori discussione. Non ti presenti al Viminale con tutta la prima linea dirigente regionale del partito per sollecitare un intervento istituzionale in un Comune che tra 80 giorni va al voto. A meno che, ovviamente, tu non voglia strumentalizzare la vicenda. D’altro canto, l’iniziativa del Viminale, che finora si limita all’ispezione, è dovuta. Il sindaco Decaro ha ritenuto opportuno ribadire con forza la sua “pulizia” e ne aveva diritto, al di là dello “scherzetto” che gli ha tirato poi dal palco il suo mentore».

In attesa del verdetto degli ispettori, le inchieste giudiziarie hanno fatto saltare le primarie a Bari e devastato il campo largo. La stessa cosa era accaduta in Basilicata, sebbene per motivi non di natura giudiziaria. Perché il patto tra Pd e M5s non regge?

«Perché non esiste nessun campo largo. Già nelle brevi esperienze di governo di Romano Prodi nel 1996 e Nel 2006 si è dimostrato che, se costruisci una coalizione tenuta insieme solo dalla volontà di non far vincere l’avversario, poi non riesci ad avere la sufficiente omogeneità per governare. Rispetto a quell’epoca ora è pure peggio perché abbiamo il M5s, un movimento che non ha nulla di politico: è solo un gruppo pubblicitario senza alcun pensiero politico che, proprio come gli esperti di marketing, cerca solo di andare dietro alle tematiche di tendenza. A differenza del marketing, però, dove un prodotto alla fine si vende, il M5s non ha nulla da offrire perché non sa un accidente di nulla. Il Pd mostra una vena masochistica senza fine nell’insistere col M5s: non si sono accorti che ogni volta che possono li fregano?»

Poi c’è il suo partito, Italia Viva, che in Basilicata sostiene il centrodestra di Bardi e a Bari, invece, un uomo di sinistra come Laforgia: è la politica dei due forni?

«Le elezioni regionali sono di tipo maggioritario a turno unico. È quindi imperativo, purtroppo, fare una scelta tra due candidati. Io penso che, a meno che non si candidino due esponenti di Potere al Popolo e di Forza Nuova, una compagine come la nostra debba schierarsi con il candidato meno lontano dalla sensibilità liberal-riformatrice, per provare a condizionarlo in tal senso. Questo implica fare scelte diverse a seconda del contesto: in Basilicata – e secondo me anche Piemonte – con Bardi, in Abruzzo con D’Amico. Alle comunali, essendoci il doppio turno, sono possibili anche candidature terze e infatti spesso le mettiamo in campo. Ma il punto politico è questo: una forza come la nostra, che a livello nazionale vuole orgogliosamente scardinare il bipolarismo, nelle elezioni locali, che sono di tipo maggioritario, deve fare scelte che all’apparenza possono sembrare in contraddizione, ma che a ben vedere non lo sono affatto».

E allora quale sarà la futura collocazione politica di Italia Viva: col centrodestra, col centrosinistra, da soli o in tandem con altre forze come avete deciso per le europee?

«Noi vogliamo urlare che il re è nudo. Il bipolarismo nazionale italiano è una finzione. Si tratta solo di due curve di ultrà che hanno analisi sbagliate su un Paese che non cresce più da 30 anni e, conseguentemente, ricette sbagliate per risolvere il problema. A differenza di quello degli anni Novanta e Duemila, poi, non è un bipolarismo trainato dal centro – Prodi e Berlusconi erano due signori leader centristi – ma dagli estremi. Estremi che sono o sindacal-populisti, o sovranisti-populisti. Per questo per le prossime elezioni politiche costruiremo un grande partito liberal-democratico e riformatore al quale non ci si iscriverà perché ti piace il leader, ma perché credi nell’idea di società che quel partito veicola»

Passiamo all’economia: la Zes unica annunciata dal governo è al palo. Che cosa ne pensa?

«Avevamo fatto molte proposte al governo. La prima era di fare una Zes unica ma costituita dalle aree industriali, produttive e artigianali del Sud. La seconda era lasciare delle forti strutture regionali per impedire che ogni singola pratica per l’apertura di un negozio debba passare da Roma. La terza era rendere il credito di imposta legato alla Zes cumulabile con quello di Industria 5.0. La quarta, forse quella più importante, era non prendere in giro i meridionali, visto che per la Zes di tutto il Sud finora sono stati stanziati 1,8 miliardi che nel vecchio regime servivano per la sola Campania. Ci hanno detto di no a tutto, ora la Zes è ferma, quando era una delle iniziative di maggiore successo impostate dai governi Renzi e Gentiloni».

In attesa della Zes, l’industria è in agonia come dimostrano l’ex Ilva e Stellantis: di chi è la colpa?

«Si tratta di situazioni diverse. Sull’ex Ilva il peccato originale è del M5s, con la scellerata decisione sullo “scudo penale” e il cambio delle regole in corsa. Una cosa che nel mondo globalizzato equivale a mettere un cartello e dire “da noi non venite, grazie”. Poi questo governo ci mette del suo perché non è in grado di affrontare la situazione – seppur indubbiamente compromessa – né di immaginare una soluzione e adottare gli atti conseguenti. Sulle altre crisi industriali ci sono due strade: o ululare alla luna contro le multinazionali brutte e cattive o darsi da fare per migliorare le condizioni di competitività del Paese e del territorio. Io preferisco la seconda».

Qual è la sua ricetta, da liberale, per rilanciare l’economia al Sud?

«Cambiare la politica. Basta con califfati e pacchetti di tessere. Basta col consociativismo e l’utilizzo della spesa pubblica per comprare consenso politico. Liberiamo le energie che al Sud non hanno nulla da invidiare a quelle del Nord. Ma che hanno bisogno di una politica che le liberi e non che le utilizzi».

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