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Cassa Prestanza: un flop la riunione tra Comune di Bari, sindacati e contribuenti

Si è conclusa con l’ennesimo nulla di fatto la riunione, convocata dal presidente del Consiglio Comunale Michelangelo Cavone, tra l’Amministrazione, i sindacati e i contribuenti di Cassa Prestanza.

La discussione, a cui sono stati invitati anche i parlamentari baresi, ha visto molti assenti, ragion per cui i dipendenti comunali e i sindacati sono andati su tutte le furie. A dar voce al Consiglio comunale solo due capigruppo, Antonio Ciaula di Fratelli d’Italia (che, visto l’esito negativo della riunione, ha promesso di convocare un consiglio monotematico sul tema) e Marco Bronzini, del Partito democratico.

I vertici di Palazzo di Città hanno ribadito la necessità, affinché il Consiglio dia il via libera all’erogazione dei fondi ai dipendenti, di una norma salvagente, in grado, cioè di sollevare i consiglieri da qualsiasi responsabilità. A monte, infatti, continua a esserci il parere del giudice della Corte dei Conti, secondo cui la Cassa Prestanza è da considerarsi un istituto privato e non pubblico. Questo il motivo per cui il Consiglio sarebbe impossibilitato a deliberare in autonomia, perché i componenti dell’Aula Dalfino rischierebbero di essere accusati di danno erariale. O meglio, questa la versione data ai presenti, tra i quali vi era anche l’avvocato Caputo, difensore di 400 dei circa 2mila dipendenti in attesa della risoluzione.

«È ridicolo – ha dichiarato Caputo rivolgendosi al sindaco Decaro – che questa sede venga utilizzata per discutere di sentenze non ancora definitive: ad aver bloccato l’iter è stato un giudice, il cui parere può essere soprasseduto dal Comune». La deliberazione del Consiglio, dunque, non sembra essere ancora un’alternativa valida, anche perché il sindaco ha ribadito che l’unica soluzione possibile sarebbe un disegno di legge capace di sollevare il Comune dalle responsabilità.

«Altrimenti – è stata l’opinione dell’Amministrazione che ha risuonato in Aula – nessun consigliere sarebbe disposto a mettere a repentaglio il proprio futuro e quello dei propri figli». Una frase capace di vanificare qualsiasi tentativo di mediazione, e da cui è scaturita una vera e proprio bagarre. «I nostri figli, caro sindaco – ha urlato qualcuno dai banchi destinati alle sigle sindacali – non valgono di meno dei vostri». Se il Comune, dunque, è alla ricerca di uno scudo (che può provenire solo dal Mef), in ballo continua a esserci il futuro di 1.400 famiglie, che chiedono – hanno ribadito i sindacati – che venga loro restituito «quanto sottratto mese dopo mese, anno dopo anno».

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