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venerdì 20 Settembre 2024
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Il boss che aveva uno zoo nella villa: sigilli all’impero di Palermiti

L’anno in cui Eugenio Palermiti, mafioso barese con il grado di “nona” (appena sotto il “mammasantissima” Savino Parisi) dichiarò allo Stato il suo reddito più elevato fu il 2000, quando comunicò che in quei 12 mesi aveva percepito ben 8.636 euro. L’anno più “nero”, invece, fu il 2012 quando il suo reddito imponibile fu solo di 3.485 euro. «Redditi sporadici e insussistenti – li qualificano i giudici del tribunale di prevenzione – inadeguati anche alle semplici spese per i consumi primari del suo nucleo familiare».

Eugenio Palermiti, “u gnur”, boss incontrastato del quartiere Japigia, e suo figlio Gianni, per i magistrati baresi invece conducono (quando non detenuti) uno stile di vita molto più costoso, grazie a “proventi di attività delittuose”: narcotraffico, usura ed estorsione, principalmente, a capo di un impero che conta auto (una anche blindata), appartamenti, una villa, locali e società (tra cui la Centro Carni pugliese srl), box al mercato coperto, una cornetteria, un garage, un centro estetico, denaro contanti e conti correnti bancari.

Un impero da un milione di euro costruito negli anni, sulle ceneri di clan che non comandano più, con il sostegno di ragazzi pronti a fare “azioni di sangue” per accreditarsi, anche senza riceverne benefici economici ma solo per fare piacere a “lui”. Si è sbriciolato ieri l’impero economico della famiglia Palermiti e dei tanti prestanome, sotto i colpi dello Stato. I giudici della sezione misure di prevenzione del tribunale di Bari hanno accolto la richiesta del procuratore capo Roberto Rossi e del Questore Giuseppe Bisogno, e hanno messo sotto sequestro beni, assetti societari e rapporti finanziari riconducibili a padre e figlio, entrambi condannati con sentenza definitiva per associazione mafiosa e traffico di droga. Le indagini, condotte dagli investigatori della Squadra Mobile (diretti dal dirigente Filippo Portoghese) e dai magistrati della Direzione distrettuale antimafia, hanno portato alla luce la storia criminale degli ultimi 30 anni, concentrandosi sul quartiere Japigia dove Savinuccio ed Eugenio Palermiti si sono spartiti gli affari, convivendo più o meno pacificamente, nel nome del denaro. «Per la gente ha più potere Eugenio – racconta il superpentito Domenico Milella agli inquirenti – però Savino è più elegante nelle cose, ha più cervello. Invece lui è più montanaro, è più di pecore, queste cose». Violento, brutale, capace di «uccidere un pitbull a mani nude», come lui stesso si era vantato di aver fatto. Patriarca assoluto nel suo regno in via Padre Pio, in fondo alla strada che corre parallela a via Caldarola, dove aveva realizzato uno zoo privato con zebre, pavoni, dromedari, cavalli.

Giovanni, suo figlio, con la “settima”, «ma lui era il figlio del capo – chiariscono i collaboratori di giustizia – Non aveva bisogno di affiliarsi». Arrestato per l’agguato ai fratelli Rafaschieri, più calmo di suo padre, ma meno presente, «lui non stava sempre con noi». I Palermiti e i beni accumulati, la caratura criminale, «una spiccata vocazione imprenditoriale e un’accentuata propensione agli investimenti immobiliari, fino ad assumere una posizione di primo piano nella mappatura commerciale di Japigia».

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