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Il mondo mafioso sommerso dietro la gestione dei lidi: i pentiti raccontano di affiliati nelle spiagge dei baresi

C’è un mondo sommerso, legato agli ambienti della criminalità barese e in particolare a quella del quartiere Japigia, che negli ultimi anni si è infiltrata nella gestione delle spiagge baresi di Pane e pomodoro e di Torre Quetta, militando in tutti i settori, dal “ristoro” alle pulizie. Un intero strato di commistioni e legami illeciti, affari e favori, estorsioni e concessioni, nascoste dietro la facciata del “benessere en plein air” negli anni della pandemia.

Lo raccontano le intercettazioni disposte dalla Procura, lo riportano i collaboratori di giustizia, chiamati a fornire un quadro della famiglia Malanga. C’è Domenico Milella, che il 22 aprile 2020 risponde alle domande della Squadra Mobile, raccontando le vite di personaggi di spicco di Japigia. Parla di Vito Lovreglio, figlio del piu noto Battista, cognato del boss Savino Parisi.

«L’hanno messo a lavorare, non lo so, l’hanno messo ad un appalto, all’inizio, a pulire le spiagge di Pane e pomodoro, lo mise Orlando. Quello dei bar a Pane e pomodoro ha messo parecchie persone dei Parisi a lavorare». E continua. «È molto amico a Mimmo velluto, fa favori di questo genere qua, li fa campare, li fa mangiare, qualcosa di soldi li fa uscire».

Alle domande del pm, spiega: «Prima tramite il bar, lui è un tifoso, è malato del Bari. Poi gli appalti, che ha preso gli appalti del parcheggio a Pane e pomodoro, insomma ha messo le persone a lavorare. Sono andato io una volta per mettere a lavorare una persona che ci tenevo, e l’ha messo, a Torre Quetta».

E quando gli chiedono cosa vuol dire “campare”, risponde: «Vedi dottore, hanno tutti bisogno dei soldi di Orlando e tutti hanno bisogno, di qualunque soldi sono. È lui che vuole la spalla, e, per esempio, guadagna, mò non lo so, prima dal Bari, prima dal bar, gli dà uno stipendio, gli fa uscire 2.500-3.000 euro così, e li dà in mano a loro, capito? E questi se li dividono. Questo vuol dire campare».

Poi torna ai nomi: «Vito Battista, Lovreglio, lui lavorava là su Pane e pomodoro a raccogliere le carte. Nicola “u ‘mbiccius”, Massimo Parisi, andavano sempre per mettere delle persone a lavorare. Mastrorilli, l’ha messo lui a lavorare il figlio».

In sostanza, per Milella, «Orlando sta intrallazzato bene, ma non so con chi, dove e quando. So che è una persona che nei Comuni ha agganci, prende appalti da tutte le parti».

Nel voluminoso fascicolo che racconta la storia nera di Pane e pomodoro e di Torre Quetta ci sono anche le relazioni della polizia giudiziaria, che per la Prefettura di Bari hanno redatto l’informativa, diventata poi l’ossatura dell’interdittiva antimafia. E si comincia dai rapporti familiari: sia Orlando Malanga che la sua compagna sono imparentati con i Campanale del quartiere San Girolamo, con la vedova del capoclan Felice, ucciso in un agguato il 28 agosto 2013. Ed è dunque zio di Leonardo Campanale, “attualmente leader del gruppo mafioso”, condannato per mafia e omicidio.

Lo stesso Orlando ha condanne definitive: “Di rilievo – conclude l’interdittiva – l’elencazione di una vasta casistica di elementi sintomatici dei tentativi di infiltrazione mafiosa”.

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