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domenica 8 Settembre 2024
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Mafia e scommesse clandestine: chiesto il processo per i prestanome dei clan baresi

L’operazione del novembre 2018, gli arresti e i sequestri, certificarono il salto di qualità, l’evoluzione in chiave economico-finanziaria di quelli che erano (e sono), sul piano strategico, i nuovi obiettivi della criminalità organizzata barese.

«Non più semplice attività di riciclaggio – spiegavano gli inquirenti – ora si entra in maniera prepotente e spregiudicata nei settori di avanguardia del mercato economico globale e lo si fa da protagonisti, con investimenti diretti verso un settore altamente strategico quale quello delle scommesse e del gioco d’azzardo. Gli indici non tirano più i grilletti delle armi ma cliccano sulle tastiere dei personal computer e sugli smartphone di ultima generazione per gestire in rete il gioco d’azzardo e per movimentare il denaro ricavato».

Era l’era di Vito Martiradonna, detto Vitino l’Enèl, storico cassiere del clan Capriati, e dei suoi figli, geni del computer laureatisi con pieni voti e capaci di far viaggiare lontano, in veri e propri paradisi fiscali, le cifre da capogiro ottenute con il gioco illegale. In quel novembre, a conclusione di indagini condotte dalla Direzione distrettuale antimafia di Bari, finirono in carcere 7 persone, altre 15 ai domiciliari, appartenenti ai clan mafiosi Parisi e Capriati.

Una buona parte degli arrestati e dei 22 indagati, incluso la famiglia Martiradonna, ha patteggiato la pena, mentre l’udienza preliminare per i 19 imputati residui comincerà il 15 maggio prossimo dinanzi alla gup Ilaria Curione.

I due gruppi criminali, in contatto anche con le organizzazioni mafiose di Campania, Sicilia e Calabria, secondo l’antimafia avevano costituito una vera e propria multinazionale delle scommesse, movimentando oltre un miliardo di euro da Malta a Curacao, passando per le Isole Vergini e le Seychelles. A controllare una serie di marchi per le scommesse (a ParadiseBet di Londra e la Centurionbet di Malta, le più importanti) era proprio la famiglia Martiradonna. Vito, secondo l’accusa, utilizzava la sua fama di cassiere del clan Capriati per i rapporti con le organizzazioni criminali, anche di stampo mafioso e si occupava del reimpiego dei profitti illeciti e dei “rapporti con la polizia giudiziaria e con i servizi segreti per ottenere informazioni sulle indagini”, provvedendo per conto dell’associazione alla “bonifica dei siti e delle auto in uso all’associazione”. I suoi figli sono ritenuti i responsabili della gestione della rete di siti per le scommesse, che vedevano in Giovanni Paolo Memola il tecnico informatico, in Mariella Franchini detta “la zia” (è la zia dei Martiradonna) il cassiere. Una vera e propria associazione per delinquere di stampo mafioso, con caratteristiche transnazionali, avendo operato fin dal 2009 tra Italia, Malta, Romania, Curacao e le Isole Vergini. A Tommaso Parisi, il figlio di Savinuccio (anche lui ha scelto un rito alternativo) e ad altri quattro era invece contestata l’intestazione fittizia di beni. Dal 2012 al 2016 il gruppo di società avrebbe raccolto scommesse per 649 milioni di euro, evadendo – secondo l’accusa – imposte per circa 11,6 milioni.

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