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Sicurezza a Bari, parla la prefetta Bellomo: «Bisogna fare di più. Ora un patto contro la devianza»

«Dal mio insediamento a oggi siamo stati travolti dalla pandemia che ha inciso notevolmente sui nostri programmi. Oggi che siamo tornati alla normalità, c’è la determinazione ancora più forte di restituire ai cittadini la tranquillità che meritano». Per la prefetta di Bari, Antonella Bellomo, le parole chiave sono tre: sicurezza, vivibilità e accoglienza. Tre concetti che scandiscono l’attenzione ai giovani e il contrasto alle infiltrazioni mafiose nelle imprese.

La sicurezza nel capoluogo è un tema assai caldo. Sono molti i cittadini. a cominciare dai commercianti, che in questo momento si sentono in pericolo.

«Non entro nel merito delle iniziative di legge e della politica, ma quello che posso dire è che l’impegno di donne e uomini delle forze di polizia e dell’apparato dello Stato è costante per far sentire i cittadini sicuri nel proprio territorio. Mi rendo conto, però, che la percezione di sicurezza è anche legata all’esperienza personale. Abbiamo rafforzato la presenza di agenti in divisa in zone critiche come la stazione o piazza Umberto. Dagli esposti che giungono in Prefettura e da quello che leggo sui giornali, mi rendo conto che non abbiamo raggiunto un grado sufficiente di vivibilità e sicurezza percepita».

Le cronache parlano di giovani particolarmente aggressivi. Colpa del disagio scaturito dalla pandemia?

«Quello che sta accadendo non può lasciarci indifferenti e non si può liquidare tutto parlando di disagio post-Covid. Credo che si debba agire sulle agenzie educative. Manca equilibrio tra reale e virtuale e non è sempre vero che nelle baby gang ci siano ragazzi che vivono situazioni di precarietà sociale, anzi. Si stanno manifestando fenomeni di aggressività che raggiungono livelli preoccupanti. Ma credo nella risposta corale delle istituzioni e sono pronta a fare tutto ciò che posso. Voglio anche dire, però, che c’è tanta bella gioventù e che dovremmo far emergere storie positive».

Tra le tante mutazioni che sta vivendo la città c’è anche quella legata alle migrazioni. Cosa sta cambiando?

«Durante la festa della polizia, il questore di Bari ha esposto alcuni dati che parlano di una flessione netta dei permessi di soggiorno concessi nel capoluogo, il che significa che Bari è meta di passaggio e non più di approdo».

Un quadro diverso da quello che lei stessa visse nel ’91, all’epoca della Vlora. Fu la prima grande prova per l’Italia?

«Sì, in quell’8 agosto l’Italia prese consapevolezza di essere una terra di frontiera e Bari una “terra promessa” per gli albanesi. Furono giorni di grande impegno e di polemiche. Il Governo gestì l’emergenza con un protocollo da Protezione civile, il Comune di Bari cercò invece di interpretare il sentimento dei cittadini. Le famiglie baresi furono straordinarie. Le forze dell’ordine furono coordinate dalla Prefettura e di racconti di rara umanità ne abbiamo ancora tanti impressi nella mente».

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