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sabato 12 Ottobre 2024
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Milo De Angelis porta la poesia a Fasano: «Credo nei ritorni» – L’INTERVISTA

Milo De Angelis cantore metropolitano, Milo De Angelis pittore malinconico delle ultime volte: di tutto ciò che è definitivo. Il poeta milanese – tra le voci più autorevoli del Novecento – sarà venerdì a Fasano, nella residenza storica de “Il Minareto”. Appuntamento alle 19.30, per il reading del suo “De Rerum Natura” di Lucrezio; con lui, sul palco della rassegna “L’Antico Richiamo”, l’attrice Viviana Nicodemo e il contrabassista Marco Bardoscia. Alla Puglia lo legano alcuni tra i suoi versi più delicati, che si chiudono con un’immagine commovente, di una Bari bagnata dalle luci dell’alba. “Tra poco, a Bari, aprono/ le edicole. È mattino, nient’altro”.

La poesia è “È possibile portare soccorso agli assediati. È possibile capire l’estate”. Quei versi arrivano da un frammento della tua vita qui in Puglia?

«Il motivo occasionale del mio viaggio in Puglia era un processo storico degli anni ottanta, legato alla strage di Piazza Fontana. Ma il motivo profondo era l’amore per questa città, Bari, per la sua luce, la sua anima metafisica, lo splendore del suo bianco».

Hai recentemente tradotto per Mondadori “I fiori del male” di Baudelaire. Ci sono difficoltà che hai incontrato sulla strada?

«Non ho incontrato difficoltà di tipo lessicale o sintattico – il francese di Baudelaire è quasi identico al francese di oggi – ma piuttosto di carattere ritmico, nel tentativo di mantenere dentro una forma “armoniosa” l’estrema violenza dei temi, l’ossessione sanguinaria che bagna questi versi».

Nel procedere della lettura c’è un rischio. Arriva un momento in cui le vostre voci si confondono: Baudelaire diventa De Angelis e De Angelis, Baudelaire…

«Questo è un rischio inevitabile, quando si traduce un poeta amato. Dovere fondamentale è non “assimilarlo”, non farlo entrare in uno stile prestabilito, ossia nel proprio, e lasciare intatto il chiaroscuro delle somiglianze e delle differenze».

Un anno fa, durante un’intervista, mi hai detto che “scrivere è aprire i conti con il passato”. Com’è che si chiudono allora?

«Non si devono chiudere. Un poeta ripete continuamente questi conti, e ogni volta trova una cifra diversa!».

Pavese in “Dialoghi con Leucò” riscrive il mito di Orfeo ed Euridice. Orfeo decide consciamente di lasciare negli inferi una Euridice che, se fosse tornata indietro con lui, non sarebbe comunque stata la stessa di prima. Tu come lo riscriveresti?

«Probabilmente non avrei avuto il coraggio e la lucidità dell’Orfeo pavesiano e avrei condotto Euridice fino alla luce terrestre senza voltarmi, nell’illusione di far rinascere la giovinezza. Ma poi avrei capito che voltarsi era la scelta più giusta e che Pavese aveva ragione».

Credi nel ritorno? C’è un “dopo”, dopo la fine?

«Credo nel ritorno, indubbiamente, come il luogo più profondo della conoscenza. Che ci sia un “dopo” oltre la fine è l’eterna domanda dell’uomo e il suo implacabile tormento».

C’è qualcosa o qualcuno che ti manca in maniera ricorrente nel tuo quotidiano?

«“Oh padre, che a parlare mai ti ascoltavo, / che nostalgia di te porta la vita!” scrive uno dei poeti che più amo, Franco Loi. Ecco, succede anche a me di rimpiangere le parole mancate o di invocare la persona che non abbiamo ascoltato».

Ne “L’amour fou”, Breton racconta le coincidenze “magiche” che ruotano attorno all’incontro in un bar con Jacqueline Lamba. D’altra parte la società di oggi ci vede dediti a incontri che iniziano online. Pensi si possa dare lo stesso valore a un incontro generato dalla casualità della strada, rispetto a uno avvenuto dietro lo schermo?

«La magia dell’incontro – se è davvero un incontro essenziale – prescinde interamente dal modo e dal luogo in cui avviene. Può essere un arido ufficio commerciale, come succede alla povera ragazza Carla, o un cinema di periferia, come succede nelle canzoni. E dunque può essere lo schermo di un computer o il più sciocco tramite social, non importa. Appena è sfiorato dall’amore, diventa un luogo sacro, un vetro incantato, uno schermo benedetto».

Credo la poesia richieda dialogo costante con se stessi, e silenzio intorno. Eppure sembrano essere tempi in cui si fa il possibile per immergersi nel rumore, per restare sempre in movimento. Avverto il terrore di annoiarsi…

«La poesia è fatta apposta per spegnere il brusio che ci assedia e i rumori di fondo. Contro le chiacchiere e la noia rimane la medicina più preziosa».

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