Home Cronaca Il procuratore Rossi: «I giovani usano violenza per esprimere disagio sociale»

Il procuratore Rossi: «I giovani usano violenza per esprimere disagio sociale»

La violenza come espressione di un disagio sociale. È quello che avviene, secondo il procuratore di Bari, Roberto Rossi, nella società attuale.

Procuratore, un anno fa ci parlava di “Bari e il suo mondo di mezzo”. Oggi sembra che si aggiunga una nuova questione “criminale” che riguarda i più giovani e le donne. Cosa sta succedendo?

«Per quanto si tratta dei giovani, il disagio sociale nell’attuale società si esprime con la violenza. Anzi il nostro territorio non presenta, per fortuna, il fenomeno delle gang. La violenza sulle donne è un fenomeno lontano nel tempo, prima nascosto tra le mura domestiche e che, grazie a una nuova consapevolezza della dignità della donna, oggi emerge alla luce del sole».

Il branco è sistema per attaccare, le baby gang per affermare potere, le molestie sulle ragazzine, le violenze omofobe. È emergenza sicurezza o emergenza sociale?

«Sono due facce della stessa medaglia. La legislazione del “codice rosso” a tutela delle donne è stata un grande passo avanti, ma ha due limiti di fondo. Il primo è che ingabbiando l’attività delle Procure e dei giudici a tempi e modalità di intervento predefiniti, ha comportato il rischio di un eccesso di tutela in situazioni che non sempre richiedono tale attenzione. Il secondo è l’idea errata che lo strumento penale sia l’unica soluzione per la tutela della donna».

Allora cosa propone?

«Occorre rafforzare l’intervento sociale. Ad esempio, per gli uomini un intervento psicologico di controllo della pulsioni violente; per le donne una riflessione sui meccanismi di dipendenza nei confronti degli uomini violenti. Tra i giovani una riflessione sul consenso nel rapporto sessuale. Per i professionisti un intervento immediato della comunità nei casi di prevaricazione sulle donne utilizzando il potere insito nella professione».

Quali strategie sono prioritarie per rispondere a quanto accade a Bari?

«La risposta non è nell’inseguire le emergenze ma nell’avere una metodologia efficiente di lavoro. La Procura e il Tribunale di Bari, da anni, hanno creato un sistema di lavoro nel quale la risposta ai reati di codice rosso arriva nel giro di pochi giorni. Certo, dobbiamo essere consapevoli che, di fronte a una volontà omicida irrefrenabile, non esiste sistema di tutela penale idoneo».

Cosa c’è al secondo posto nella sua lista delle emergenze?

«Le distorsioni del sistema economico con particolare riferimento all’infiltrazione della criminalità organizzata».

Lei dirige la Procura di Bari in un momento storico complicato anche rispetto alla solidità del legame di fiducia tra magistratura e cittadini. Vacilla sempre di più.

«La magistratura non può cercare il consenso e non è legittimata dal consenso. I magistrati devono rafforzare la loro credibilità con il loro lavoro e con l’esercizio della responsabilità nella vita privata. La politica deve smettere di inquinare la vita democratica con violenti attacchi strumentali ai pm e ai giudici».

Cosa, secondo lei, dovrebbe cambiare?

«Acquisire tutti la consapevolezza che senza il rispetto delle regole non esiste uno stato civile e che qualcuno le deve far rispettare».

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