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Ex Ilva, la cassa integrazione spacca i sindacati: Uilm e Usb non firmano

C’è l’accordo per un altro anno di cassa straordinaria in Acciaierie d’Italia. I sindacati si dividono: la Uilm, che è il primo sindacato nell’ex Ilva, non ha firmato l’accordo, così come Usb. Secondo le due sigle l’accordo non offre garanzie sull’esclusione degli esuberi e sul rientro in produzione del personale di Ilva in amministrazione straordinaria, oltre 1600 lavoratori anch’essi da anni in cassa integrazione e senza lavoro. La cassa riguarda 3mila addetti, di cui 2.500 a Taranto.

L’intesa è stata raggiunta ieri pomeriggio al ministero del Lavoro da Fim Cisl, Fiom Cgil, Ugl e Fismic. La Uilm è il primo sindacato nell’ex Ilva di Taranto e l’Usb il terzo in base alle elezioni di un mese fa per il rinnovo delle rsu. Fim e Fiom sono invece la seconda e quarta organizzazione della fabbrica. I dubbi di Uilm e Usb si erano palesati già da circa un mese. Le trattative col ministero erano iniziate la scorsa settimana. Proprio martedì si è chiuso il primo anno di cassa straordinaria in Acciaierie d’Italia, la società misto pubblico-privata che gestisce lo stabilimento siderurgico più grande d’Europa, quello di Taranto e gli altri siti del gruppo.

A confermare i dubbi di Uilm e Usb sul rientro dei 1600 cassintegrati ex Ilva in amministrazione straordinaria non assorbiti dal nuovo gestore è la stessa azienda che, secondo fonti sindacali, durante l’incontro al ministero per discutere della nuova richiesta di cassa, avrebbe fatto intendere di non avere più responsabilità su quei lavoratori in base all’accordo unilaterale del 2020, con i commissari di Ilva in amministrazione straordinaria.

A settembre 2018, però, un precedente accordo siglato prevedeva che il personale in cassa della fallita Ilva sarebbe stato riassorbito nel tempo tra i lavoratori del siderurgico, proprio a partire dalla seconda metà del 2023, una volta ultimato il piano ambientale dello stabilimento. E proprio sugli interventi ambientali, emerge dalla riunione dell’osservatorio Ilva, che Acciaierie d’Italia è in ritardo su alcune prescrizioni dell’Aia (autorizzazione integrata ambientale) che deve completare entro agosto prossimo. Lo scrivono i commissari di governo di Ilva in amministrazione straordinaria, Francesco Ardito, Antonio Lupo e Alessandro Danovi, in una lettera ai ministeri dell’Ambiente, delle Imprese, alla presidenza del Consiglio, all’Ispra e alla stessa Acciaierie d’Italia.

L’atmosfera è tutt’altro che tranquilla. L’ennesimo avvertimento ai soci privati, i francoindiani di ArcelorMittal è arrivato dal ministro delle Imprese Adolfo Urso, che dice «l’investitore straniero deve dimostrare di credere nella trasformazione dell’ex Ilva per farne il sito più grande siderurgico green d’Europa. Si può fare a Taranto. Se non ci credono loro, allora lo Stato se ne assume la responsabilità e troveremo chi ci crede insieme a noi. Comunque sempre degli industriali, perché quel complesso deve essere guidato da un’industria». Nel verbale di accordo, si legge che per l’azienda lo strumento della cassa richiesto è volto a garantire la continuità ed il rilancio dell’attività aziendale nonché la salvaguardia dei livelli occupazionali mentre il ministero delle Imprese «prende atto delle richieste delle organizzazioni sindacali di convocazione di un tavolo ministeriale sul piano industriale dell’azienda».

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