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martedì 1 Ottobre 2024
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Taranto, perdita di amianto dalla Vittorio Veneto: l’inchiesta viene archiviata

Archiviata definitivamente l’inchiesta per presunto disastro ambientale colposo causato dalla perdita di amianto dalla nave Vittorio Veneto della Marina militare. Sotto accusa erano finiti nove alti ufficiali della Marina, tra loro due capi di Stato maggiore e due ammiragli, accusati di inquinamento e disastro ambientale colposo per la possibile dispersione di fibre di amianto dalla nave, ancorata fino al giugno 2021 nella rada di Taranto.

L’archiviazione

Dopo aver respinto inizialmente l’archiviazione proposta dalla procura ionica e aver ordinato un approfondimento di indagine, il giudice per le indagini preliminari ha definitivamente archiviato il caso respingendo l’opposizione all’archiviazione proposta da una ambientalista. Erano stati due gli esposti sulla base dei quali la procura aveva avviato le indagini nel 2022, uno dei quali da parte di un volontario dell’associazione Ona, osservatorio nazionale amianto. Gli indagati sono stati difesi dagli avvocati Michele Rossetti e Luigi Semeraro.

La storia

La nave, carica di amianto, è stata radiata nel 2007 e, almeno dal 2013 è rimasta ormeggiata alla banchina Torpediniere, in Mar Piccolo, fino all’8 giugno 2021, giorno della partenza verso la Turchia dove poi è stata smantellata. Già nel 2016 era stato effettuato un sopralluogo in base al quale fu stimato che all’interno dell’ammiraglia ci fossero almeno 1.200 kg di amianto. Nelle denunce erano finite anche dichiarazioni della commissaria alle bonifiche Verca Corbelli, che nel 2017, riferendo in Consiglio comunale, aveva descritto la nave in disarmo come «amianto allo stato puro».

Dopo la richiesta di archiviazione della procura, il giudice aveva chiesto una consulenza tecnica per valutare se la dispersione di amianto avesse creato danni all’ambiente, al mare, esposto a rischi la popolazione e le sostanze alimentari. I consulenti, tuttavia, non sono riusciti a raggiungere tutti gli ambienti dello scafo per le pessime condizioni di conservazione ma non hanno escluso la dispersione nell’aria e in mare di fibre di amianto, giacché la nave non è mai stata isolata, nonostante fosse risaputa la presenza massiccia della sostanza cancerogena.

Il provvedimento

Allo stato delle verifiche, i consulenti hanno concluso che non risultava «verificata una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili dell’acqua o dell’aria o di porzioni estese del suolo o del sottosuolo». Per il giudice, nonostante sia pacifico che dalla nave sia fuoriuscito amianto per quasi 18 anni, non può essere contestata ai vertici della Marina militare l’omessa bonifica della nave perché nessuna sentenza o autorità aveva mai ordinato tale operazione, nè sono stati raggiunti validi elementi per una ragionevole previsione di condanna per disastro ambientale, non essendo ravvisabile una «concreta situazione di pericolo per la pubblica incolumità». Insomma nonostante la nave sia stata per quasi un ventennio una potenziale fonte di inquinamento, non è stato dimostrato che le fibre di amianto siano arrivate fino in città (i consulenti non le hanno trovate a 600 metri dallo scafo).

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