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martedì 1 Ottobre 2024
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Trivelle nell’Adriatico e nello Ionio, il geologo Tozzi: «Pericolose e inutili»

«Il problema è culturale: se estrai più idrocarburi è sicuro che poi li bruci. Non basta firmare gli accordi internazionali sul clima». Mario Tozzi, geologo e divulgatore scientifico, ha da anni una posizione molto chiara tanto sui rischi derivanti dalle estrazioni quanto sulle conseguenze globali per l’ambiente.

Mario Tozzi, l’approvazione definitiva dell’Aiuti quater alla Camera apre le porte a nuove perlustrazioni in mare di idrocarburi, in particolare nell’Adriatico e nello Ionio. L’Italia fa un passo indietro nella transizione ecologica?

«Direi di sì. Si agisce in contraddizione rispetto ai trattati internazionali che vengono sottoscritti. Inoltre, le estrazioni avvengono solo grazie alle sovvenzioni pubbliche: 2,8 miliardi solo negli ultimi tre anni».

Una somma che lei destinerebbe interamente allo sviluppo delle rinnovabili?

«Farei di più: il 50 per cento degli extraprofitti realizzati dalle compagnie petrolifere dovrebbero essere destinate a questo obiettivo».

Il governo le risponderebbe: intanto che importiamo gas e petrolio perché non usare quello che abbiamo già nel nostro sottosuolo?

«Il prezzo del gas non lo facciamo noi ma la Borsa di Amsterdam. Questo vuol dire che possiamo estrarne quanto vogliamo ma poi va sul mercato e lì lo acquistiamo. La poca quantità di idrocarburi che abbiamo, ben lontana dal rispondere al fabbisogno, non ci garantirebbe benefici e non attenuerebbe la dipendenza dall’estero».

C’è chi indica nel gas la fonte energetica indispensabile in questa fase di cambiamento. Non è così?

«La transizione si fa solo con le rinnovabili. Il gas è nocivo per l’effetto serra come gli altri idrocarburi. La verità è che se invece di prenderlo dall’Algeria lo prendi dalla Russia, o dall’Italia, il risultato non cambia. avrai solo cambiato spacciatore: il risultato non cambia né per l’ambiente né per l’economia».

Quanto è rischiosa dal punto di vista ambientale la ricerca di nuovi giacimenti?

«C’è un pericolo per la fauna che riguarda soprattutto i cetacei. Il rischio più importante, però, riguarda il rischio di subsistenza. Se estrai dal sottosuolo il terreno nel tempo può sprofondare, creando un abbassamento del livello. Non proprio una ipotesi auspicabile visto l’innalzamento del livello delle acque. Poi c’è il rischio incidenti: ogni centimetro cubo di idrocarburi che finisce in mare uccide il 90% della vita animale e vegetale presente in un metro cubo d’acqua marina».

Si sono già verificati casi simili in Italia?

«Sì, a Ravenna e Venezia. La città emiliana si è “abbassata” di 180 centimetri dal 1951, nonostante lo stop all’estrazione. C’era un fenomeno naturale in atto che, però, l’attività dell’uomo ha accelerato».

Le comunità locali sembrano aver compreso i rischi e si mobilitano contro i progetti di estrazione. È un passo avanti culturale o no?

«Sì ma credo che le reazioni dei territori siano più legate alla sindrome del proprio giardino che ad un vero ragionamento. Bisogna saper scindere i problemi per non correre il rischio di dire no a tutto, ad esempio ai biodigestori indispensabili a chiudere il ciclo dei rifiuti, o ai depuratori delle acque reflue».

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