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Parla il dottor Napoli: «Io in campo per i più fragili. Così curo i migranti» – L’INTERVISTA

Razionale, rigoroso. Da medico ha gestito il periodo Covid nel tentativo di garantire a ogni paziente l’appropriata complessità assistenziale. Forse per questo o per il desiderio che tutti abbiano equo accesso alle cure, Christian Napoli, originario di Bari, è oggi in Italia uno dei medici impegnati in prima linea nella gestione dell’assistenza sanitaria pubblica, con particolare attenzione alle popolazioni più vulnerabili.

Dopo la laurea in Medicina all’Università di Bari, la sua carriera è stata un crescendo di incarichi prestigiosi. Nel 2015 sbarca a Roma e già nel 2019 da professore associato alla Sapienza ha un ruolo quinquennale come direttore di risk management e poi di direttore sanitario facente funzione dell’ospedale “Sant’Andrea” di Roma. Oggi il medico, 49 anni, è professore ordinario di Igiene generale e applicata alla Sapienza e da marzo ha un ruolo istituzionale: è direttore sanitario dell’Inmp, l’Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e per il contrasto delle malattie della povertà.

Qual è la natura del suo impegno?

«L’Inmp è un ente del servizio sanitario nazionale il cui obiettivo è contrastare le disuguaglianze di salute. È rivolto alle fasce di popolazione più svantaggiate, anche attraverso modelli assistenziali innovativi».

Un esempio?

«Con la “medicina di prossimità”. Non solo facilitiamo l’accesso autonomo delle persone ai servizi sanitari, ma siamo noi ad andare attivamente a reclutarle. In una sinergia di collaborazioni tra Ministeri, Regioni, Aziende sanitarie e Comuni, anche in collaborazione con enti del terzo settore, identifichiamo le popolazioni più vulnerabili e offriamo l’assistenza necessaria. Raggiungiamo anche zone geograficamente disagiate dove c’è un alto indice di “deprivazione” e con camper attrezzati procediamo con i servizi essenziali. Il servizio è gratuito e il paziente viene preso in carico e trattato con la collaborazione dei servizi territoriali. Così un bambino può avere gli occhiali di cui ha bisogno o un anziano la protesi dentaria che non ha mai avuto e così via».
In questo contrasto alla povertà, quali sono le Regioni sotto la lente d’ingrandimento?
«In questo momento l’Inmp coordina un progetto cofinanziato dalla Comunità europea, il Pnes (Programma nazionale equità nella salute) che prevede un intervento per rafforzare le capacità di sette regioni del sud Italia: Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia ma la collaborazione avviene con molte altre regioni».

E qual è il posto della Puglia sull’equità della salute?

«È stata coinvolta e le aziende sanitarie identificate hanno tempestivamente presentato il proprio progetto mostrando attenzione alla così detta “garanzia dell’equità di accesso” alle cure».

Lavorate anche fuori confine, con quali modalità?

«La povertà non è uguale ovunque e penso a Paesi come Libia o Gaza. L’Istituto partecipa da diversi anni a missioni umanitarie volute dal Governo e Parlamento italiani, insieme con vari Ministeri competenti. L’obiettivo è trasferire in Italia soprattutto minori e i loro familiari che necessitano di cure. I bambini di Gaza di solito giungono dall’Egitto e una volta curati sul posto vengono poi trasferiti in strutture sanitarie italiane».

Quando c’è stato l’ultimo corridoio umanitario e quando sarà il prossimo?

«L’ultimo è stato il 29 luglio, sono arrivate 119 persone dalla Libia. Provengono da Eritrea, Etiopia, Siria, Somalia. Sono tutte vulnerabili, per esempio vittime di violenze e tratta. Il prossimo è il 2 settembre, sempre dalla Libia all’Italia. Sono flussi migratori organizzati con l’impegno di diversi Ministeri come quello della Salute e dell’Interno».

Qual è lo strumento che ritiene più efficace?

«L’Istituto si avvale da sempre di una equipe multidisciplinare di alto profilo. Il valore aggiunto ritengo sia quello del mediatore culturale in campo assistenziale che non è un semplice traduttore ma un professionista che entra in empatia con il singolo. A Gaza c’è sempre un mediatore».

Qual è il suo sogno?

«Contribuire alla crescita del nostro sistema sanitario ed esportare i modelli assistenziali di cui abbiamo parlato».

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