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venerdì 11 Ottobre 2024
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Maria Rosaria Scherillo, ceo e founder di Clè: «Competenze e lavoro atto d’amore per la Puglia»

«Clè nasce da un permesso negato. Ho deciso di creare una comunità in cui a nessuno potesse capitare ciò che era successo a me e in cui esistesse il welfare aziendale, in un momento storico in cui era un tabù». A raccontare nascita ed evoluzione di Clè, Pmi innovativa attiva nel settore dell’IT, è Maria Rosaria Scherillo, Ceo e founder dell’azienda.

Maria Rosaria, di cosa si occupa la sua azienda?

«È una piccola industria dell’informatica. Abbiamo sessanta addetti e lavoriamo su quattro business unit. Clè Factory, la fabbrica del software, che sviluppa applicazioni specifiche per la pubblica amministrazione; Resettami, la piattaforma che opera in ambito socio-sanitario e accompagna l’assistito in tutte le fasi della cura; Clè It, l’asset specializzato in sicurezza informatica e gestione di sistemi informativi complessi; Clè E-Proc, che gestisce la parte di e-procurement».

L’ultima novità è un avatar per la cura del Parkinson. Cosa fa questo software?

«Resettami Parkylon è frutto di un lavoro di ricerca, in parte co-finanziato dalla Regione Puglia, sviluppato con il contributo di Politecnico di Bari e Fondazione Micheal Fox, con l’obiettivo di realizzare un avatar che fosse il fratello digitale gemello del paziente malato di Parkinson, in grado di replicarne tutti i movimenti».

Quali sono i vantaggi per la scienza?

«Questo livello di monitoraggio diventa di supporto alle decisioni del medico, favorendo un livello di appropriatezza della cura che rallenti il deterioramento causato nel tempo dalla malattia».

Prima di fondare Clè, era manager di una multinazionale. Come nasce l’idea di tuffarsi nel mondo dell’imprenditoria?

«Sono diventata madre abbastanza giovane e lavoravo in giro per l’Italia mentre mio figlio era a Napoli. Un giorno ero in trasferta a Roma e seppi che non stava bene: chiesi un permesso, ma mi fu negato».

E cosa fece?

«Mi dissi di non voler rinunciare né alla vita professionale, né a quella personale. Così immaginai di creare una realtà in cui fosse favorito quello che ora viene chiamato welfare aziendale. Se ancora oggi se ne parla, si può solo immaginare quanto, 37 anni fa, questo tema fosse un tabù. È stata la scintilla da cui ho fondato la Clè».

Clè, infatti, è attenta al benessere dei dipendenti.

«Non credo nel welfare inteso come bonus, ma credo che il welfare sia parte della nostra giornata, con tutte le problematiche che ognuno vive. Il mio obiettivo è stato creare le condizioni per evitare che alla mia comunità aziendale capitasse quello che era successo a me».

Come si crea il welfare all’interno dell’azienda?

«I nostri dipendenti sono persone, quindi le nostre scelte, anche in base agli obiettivi di un piano industriale aziendale, tengono in grande considerazione la sostenibilità umani dei nostri progetti. Non conta solo arrivare all’obiettivo, ma anche come lo si fa».

Quanto conta un ambiente sereno?

«È importante vivere con armonia e soddisfazione l’ambiente lavorativo. Non vuol dire che non ci siano ostacoli da superare, ma tutto avviene in uno spirito di condivisione, tranquillità e serenità. Bisogna fare attenzione a ciò che accade nella vita delle persone che costituiscono l’azienda».

Un aspetto importante è l’investimento in ricerca e sviluppo.

«È fondamentale in un settore intriso di tecnologia. Un’azienda IT non ha futuro se non immagina una ricerca costante. Non è una ricerca periodica, ma un cercare nella ricerca. Noi investiamo fino al 25% del nostro fatturato in attività di ricerca e sviluppo».

Altri elementi fondamentali?

«La continuità generazionale, perché in Italia ogni anno muoiono 30mila aziende per mancato “passaggio generazionale”. Noi, invece, operiamo in un’ottica di continuità, con la proprietà e la comunità aziendale impegnate a garantire il trasferimento di competenze e conoscenze».

Lei è napoletana. Perché la sua azienda nasce in Puglia?

«Quando mi è stato negato il permesso, è capitato anche che la stessa azienda avesse la necessità di aprire una filiale in Puglia. Fu quello il momento in cui io non diedi la mia disponibilità come dirigente dell’azienda, ma mi resi disponibile a venire in Puglia nel caso in cui si fosse creata una nuova realtà imprenditoriale, in cui, oltre a esserne socio fondatore e amministratore, avrei avuto carta bianca sulle politiche di welfare».

Poi ha deciso di rimanere in Puglia?

«Vent’anni fa, dopo aver girato l’Italia, ritenni che la Puglia rispondesse meglio ai miei desiderata in termini di qualità della vita. Amo la Puglia, non tornerei mai indietro».

Quali consigli vuole dare ai giovani che vogliono fare impresa?

«È importante avere un background di studi solido. Bisogna essere preparati e competenti, per individuare con maggior chiarezza l’obiettivo a cui tendere. E poi bisogna essere determinati e sfidarsi: è importante perseverare e non abbattersi nei momenti di difficoltà. Io non sono “figlia d’arte” e penso che bisogna dare ai propri figli un contributo affinché i giovani siano “l’arte di essere figli”, vivendo da protagonisti il proprio ruolo all’interno della società».

I suoi prossimi obiettivi?

«Consolidare il posizionamento raggiunto dall’azienda. Abbiamo avuta una crescita strutturata e strutturale. Ci siamo concentrati sui nostri prodotti, sulla competenza delle nostre persone e sul servizio che riusciamo a garantire ai clienti, anche perché, attraverso i nostri software, vengono erogati i servizi essenziali. Non ci possiamo fermare: stiamo crescendo con un incremento del 20/30% ogni anno sul fatturato dell’anno precedente. Ma non solo».

Ci dica.

«L’altro obiettivo è scaricare sul territorio valore, non solo in termini di competenze, ma soprattutto come posti di lavoro, che durino nel tempo e consentano alle persone di stare in azienda pensando che sia un pezzo importante del proprio progetto di vita».

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