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Matera, l’ex sindaco Adduce: «Della Capitale della Cultura resta solo il buon nome» – L’INTERVISTA

«Si poteva fare di più per Matera e se non si è fatto, è semplicemente perché, come spesso accade nel costume italiano, la guida era nelle mani di chi non ha condiviso quel percorso che ci ha portato a far divenire la città dei Sassi Capitale Europea della Cultura», a parlare è Salvatore Adduce, ex sindaco di Matera, l’uomo che con la sua amministrazione dieci anni fa fece in modo «grazie a una grande coesione tra enti, istituzioni, consiglieri regionali e comunali», a salire sul podio in Europa. Pochi giorni fa si sono celebrati i dieci anni da quel titolo raggiunto. Oggi Matera si ritrova con un consiglio comunale sciolto e un gran caos. Ma soprattutto con una retrocessione sotto tutti i punti di vista, sia dei servizi che dell’offerta culturale, rimane bellissima la città dei Sassi, ma è in lenta decadenza.

Che cosa resta, dottor Adduce, di quel lavoro?

«Resta la reputazione, che è un valore. Resta l’esempio di buone pratiche. Abbiamo lavorato per quattro anni con affianco le Province, l’Università, le associazioni, la Regione, ma anche i consiglieri comunali e regionali. Le dico solo che siamo passati da 2.200 posti letto ad averne quasi 8mila. Ma non è solo questo. Io credo che abbiamo dimostrato, insieme, che la cultura può essere un motore economico. Poi da quel momento in poi, lo stesso Ministero si accorse dell’imponenza di quell’evento e, in una visione nazionale certo più piccola, lo ha replicato. Noi non avemmo un premio, come è adesso per il titolo di Capitale Italiana della Cultura, ma di più, mi dico sempre, abbiamo avuto la visibilità. Se avessimo voluto fare una campagna di marketing per arrivare allo stesso risultato, c’è chi ha conteggiato che avremo dovuto spendere 100 milioni di euro. Non è stato speso un euro per un manifesto. Sono serviti invece le idee, la creatività, pensi alla Cavalleria Rusticana nei Sassi, ma soprattutto pensi alla coesione, allo spirito di unità».

E poi che cosa è accaduto?

«Intanto poco, dopo che abbiamo ottenuto il titolo è scoppiata la pandemia. E non solo, come pure ci avvertivano in Europa, avremo dovuto fare insieme come comunità uno sforzo, a prescindere dai colori politici, uno sforzo a continuare quel percorso che elevava la nostra città a un livello altissimo. Era nel dossier, era quello che veniva chiamato Legasì, far restare l’attenzione alta. Non è accaduto».

Perché non è avvenuto a suo parere?

«Perché c’è questo costume molto italiano che ciò che non abbiamo determinato, va cancellato»

Si riferisce anche all’amministrazione Bennardi?

«Certo, anche. Vede è come quando arriva una grande eredità in una famiglia nobiliare, si possono fare due cose o metterle a reddito o fumarsi tutto. Negli ultimi anni si sono fumati tutto. Pensi solo che nel 2019 ci sono stati mille eventi. Mille proprio, non in senso figurato. C’ è stato un fervore culturale senza pari. Io stesso, successivamente, proprio per quello che era accaduto, sono stato chiamato per tre volte a far parte della giuria del titolo italiano (più piccolo) di Città Capitale della Cultura. E’ stato un riconoscimento al lavoro fatto, ma che ripeto è stato frutto di uno spirito nuovo, uno spirito di partecipazione collettiva di enti, cittadini, Università, nessun campanilismo, ed è stata questa un aspetto importante della vittoria».

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