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Bari, confermata la condanna a sei anni per estorsione a Dino Telegrafo: «Niente attenuanti»

(foto di Luca Turi)

La collaborazione, le dichiarazioni autoaccusatorie, le prime ufficiali dalla decisione di collaborare con la giustizia, non sono servite a Dino Telegrafo, ultimo pentito del quartiere San Paolo di Bari, a ridurgli la condanna.

La seconda sezione della Corte d’appello lo ha giudicato inattendibile e ha confermato per Telegrafo la condanna a sei anni di reclusione, perché accusato assieme al 37enne Gianluca Losurdo nel processo di appello, di estorsioni aggravate dal metodo mafioso ai danni di una ditta edile del quartiere San Paolo di Bari.

Il neo collaboratore di giustizia, ritenuto mandante dell’estorsione nei confronti della società impegnata nel rifacimento delle facciate di palazzine popolari del San Paolo, rispondeva anche, in concorso con Losurdo, di detenzione ai fini di spaccio di 30 grammi di cocaina. I due furono arrestati nel luglio 2020 dai carabinieri, nell’ambito di una inchiesta più ampia coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Bari.

In una delle ultime udienze aveva spiegato alle parti la sua scelta di pentitosi «per dare un futuro a suo figlio», nato due anni fa quando era già detenuto, e che quindi a malapena conosce. Figlio di Nicola Telegrafo, detto “il Brigante”, morto in carcere nel 2004 a 35 anni per una grave malattia, ha comandato per anni sul quartiere assieme a suo fratello Arcangelo. Nel 2019 fu assolto in secondo grado dall’accusa di aver tentato di uccidere il “mammasantissima” del quartiere Libertà, Giuseppe Mercante, “Pinuccio il drogato”, ferito in via Nicolai il 22 agosto 2012 da suo fratello Arcangelo: riuscì a salvarsi solo grazie all’inceppamento dell’arma del sicario.

Donato Telegrafo, ritenuto anche in questo caso il mandante, era stato giudicato colpevole in primo grado e condannato ad 11 anni di reclusione. Dinanzi al sostituto procuratore generale Francesco Bretone, aveva raccontato tutte le fasi di quella estorsione per cui era stato arrestato.

Nei mesi precedenti, quando ancora non era stata ufficializzata la sua decisione di pentirsi, aveva indicato spacciatori e “uomini fondina”, corrieri ed estorsori, snocciolando un elenco di nomi che, come da prassi, gli investigatori gli hanno sottoposto.

La sua posizione è ancora al vaglio dei sostituti procuratori antimafia Daniela Chimenti e Marco D’Agostino, che dovranno tener conto della posizione assunta dai giudici di secondo grado, per i quali la volontà di collaborare non è stata sufficiente a ridurgli la condanna.

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