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In sei porti della Puglia fanno scalo i traffici illegali dei clan. Il dossier di Libera

Non solo Sacra Corona Unita ma anche gruppi criminali baresi che nel corso del tempo hanno manifestato un certo interesse nell’area portuale, sia per compiere attività illecite, sia per infiltrarsi nell’economia legale. Libera nel rapporto “Diario di Bordo ha fotografato la situazione della criminalità negli scali portuali italiani, raccogliendo storie, dati e meccanismi in un articolato dossier, curato da Francesca Rispoli, Marco Antonelli e Peppe Ruggiero.

Nelle quaranta pagine del Rapporto c’è anche la Puglia, in modo particolare nei 140 casi di criminalità all’interno dei porti italiani, monitorati nel 2022, ben cinque riguardano scali pugliesi: 3 riscontrati a Bari e 1 rispettivamente a Brindisi e Taranto, ma le proiezioni criminali e gli interessi illeciti sui porti pugliesi riguardano anche Bisceglie, Giovinazzo e Monopoli. Dei 140 casi, l’85,7 per cento (120) riguarda attività illegali di importazione di merce o prodotti, il 7,9 per cento (11) riguardano attività illegali di esportazione di merce o di prodotti, il 2,9 per cento (4) riguarda sequestri di merce in transito, mentre il restante è relativo ad altri fenomeni illeciti non classificabili.

Dunque, anche la costa adriatica fa gola alle attività illecite dei clan mafiosi e se sulla sponda tirrenica Gioia Tauro, ma anche Salerno, Livorno e soprattutto la Liguria sembrano diventare riferimenti ideali per i traffici illeciti, soprattutto della ndrangheta, Venezia e Trieste tengono botta, mentre gli scali pugliesi fanno da riferimento epr una serie attività illecite che non riguardano il traffico di sostanze stupefacenti.

Non a caso nel Rapporto di Liebra si cita il porto di Brindisi, diventato base logistica per il traffico di merce contraffatta dalla Grecia, “talvolta con coinvolgimento di criminalità organizzata di origine cinese”. Ma Brindisi è anche punto di riferimento per il traffico di alimenti contraffatti, con merci provenienti da paesi africani come Egitto (arance), Etiopia, Nigeria (mangimi) e Tunisia (pomodori secchi e olio di oliva), mediorientali come l’Oman (prodotti ittici) o dell’area mediterranea come la Grecia (molluschi). In questo il capoluogo brindisino è in “buona” compagnia, visto che si contende il traffico illecito con i porti di La Spezia, Livorno, Salerno, Civitavecchia, Genova, Palermo e Ancona.

C’è poi Bari che è in buona compagnia con Venezia, Catania, Genova, ma anche con La Spezia e Trieste per quanto riguarda il traffico di prodotti tessili contraffatti, con casi che riguardano tentativi d’importazione di marchi falsificati o capi con indicazioni di produzione errata nell’etichetta.

Nel Rapporto si citano anche le altre famiglie criminali, soprattutto del barese, che hanno messo le mani su alcune attività portuali. In modo particolare si fanno gli esempi di tre scali portuali pugliesi: Giovinazzo, Bisceglie e Bari, indicando il gruppo, o i gruppi criminali, che vi operano e gli interessi legali e illegali sulle attività portuali.

E se gli interessi dei Capriati erano state già svelate dalla Dda del capoluogo barese, con il clan che aveva assunto di fatto il controllo del servizio di assistenza e viabilità all’interno del porto, quelle che fanno riferimento al porto di Giovinazzo – anche qui con i tentacoli della piovra dei Capriati ad assumere il controllo delle attività economiche – e soprattutto dello scalo di Bisceglie rappresentano la fotografia di un’azione criminale che tenta di allargare il proprio business, cercando di sfuggire ai controlli delle forze dell’ordine e alle numerose indagini portate avanti dalla magistratura antimafia, visto che gli scali portuali “rappresentano un’opportunità unica per la criminalità comune e quella organizzata di ottenere profitti e rafforzare i legami di collusione sia a livello locale, sia a livello internazionale”.

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