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Prime tappe a Bari e Lecce per il nuovo tour della Pfm: «Ripartiamo dalla Puglia con la nostra musica libera»

«A noi piace sperimentare, inventare, improvvisare. Ecco perché ogni nostro concerto è diverso dall’altro. E così sarà anche in questo nuovo percorso»: passano gli anni, ma l’entusiasmo di Franz Di Cioccio e Patrick Djivas alla vigilia di un tour resta immutato. Il batterista e il bassista guideranno la Pfm in un ciclo di spettacoli dal vivo, prodotto da D&D Concerti, che prenderà il via sabato 22 dal Teatroteam di Bari e continuerà il giorno successivo nel Politeama di Lecce: due appuntamenti, entrambi organizzati da Aurora Eventi e con inizio alle 21, che faranno da preludio all’uscita dell’album “The Event – Live in Lugano Estival Jazz”, prevista per il 19 maggio.

Perché il nuovo tour parte proprio dalla Puglia?

Di Cioccio: «Qui abbiamo sempre fatto concerti bellissimi davanti a un pubblico col quale c’è da sempre un feeling incredibile».

Djivas: «A proposito potrei raccontare centinaia di aneddoti, ma voglio ricordarne uno. Anni fa ci trovavamo proprio in Puglia e io avevo dimenticato il mio basso da qualche parte. Allora mi rivolsi al pubblico: “Qualcuno di voi ha un basso?”. E fu così che suonai con lo strumento prestato da una persona che era venuta lì per ascoltarci».

Che cosa c’è di nuovo in questo tour in cui ripercorrete oltre 50 anni di successi?

Djivas: «Lo scopriremo ogni sera perché ogni concerto sarà diverso. Suoneremo in totale libertà come sempre, senza usare il computer ma dando ampio spazio all’improvvisazione. Soltanto così si riesce a stare sul palco per 50 anni, a fare 6mila concerti con la stessa freschezza e a soddisfare le aspettative proprie e del pubblico. Quando lo spirito non sarà più questo, la Pfm non avrà più ragione di esistere».

Di Cioccio: «Abbiamo la necessità di sperimentare, inventare e improvvisare. Non c’è mai un concerto uguale all’altro. Anche grandi classici come “Impressioni di settembre” o i pezzi di Fabrizio De André, che riproporremo nel corso del nuovo tour, hanno sempre qualcosa di diverso. Per questo ci sono persone che hanno visto addirittura 45 nostre esibizioni».

Ecco, il vostro nome è indissolubilmente legato anche a quello di Faber con il quale, tra il 1978 e il 1979, foste protagonisti di una memorabile tournée: che cosa vi ha lasciato quell’amico “speciale”?

Di Cioccio: «Fabrizio ha scoperto con noi un mondo che non conosceva, cioè quello della musica dal vivo. Con la Pfm era felice proprio perché poteva esibirsi davanti al pubblico. Noi abbiamo appreso da lui, che era un poeta, il fascino della parola e delle storie. Ora facciamo rivivere Faber riarrangiando i suoi brani e ricreando le atmosfere dei nostri incontri».

Durante i vostri concerti non farete uso del computer: che cosa c’è dietro questo “rifiuto” della tecnologia?

Djivas: «Abbiamo sempre utilizzato la tecnologia, come le tastiere e luci, ma mai il computer dal vivo. Il motivo è presto detto: ci impedirebbe di avere quella totale libertà di cui abbiamo bisogno. Vogliamo essere liberi di eseguire un brano con un assolo più lungo, per esempio; se suonassimo con una “guida” che offre sempre gli stessi schemi e gli stessi elementi, non saremmo liberi e moriremmo di noia a metà tournée».

Di Cioccio: «Un concerto è fatto di sangue, sudore e lacrime. Il che presuppone libertà, improvvisazione, simbiosi profonda col pubblico. La Pfm non si è mai limitata al “compitino” e non comincerà a farlo adesso».

Siete universalmente riconosciuti come “mostri sacri” della musica italiana e mondiale: com’è cambiata quest’arte nel corso degli anni?

Djivas: «La musica riflette sempre gli umori della società. Negli anni Settanta i giovani avevano bisogno di musica perché di parole ce ne erano fin troppe. Oggi accade il contrario: i ragazzi vanno a caccia di parole, vista la loro difficoltà nell’esprimere sensazioni e stati d’animo. La conseguenza è che le canzoni sono più o meno tutte uguali, molto semplici dal punto di vista della costruzione musicale ma ricche di parole. Insomma, più testo che note. Che cosa succederà tra dieci anni? Probabilmente la musica prenderà un’altra direzione, ma sarà sempre lo specchio della società».

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