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Bari-Genova, due pesi e due misure

Sempre garantisti sino a condanna definitiva, eppure non possiamo nascondere lo stupore provato dopo la notizia dell’arresto del governatore ligure Giovanni Toti. Pesanti le accuse a carico suo e di alcuni sodali: corruzione, voto di scambio e collusione mafiosa. In un Paese giusto sarebbe auspicabile che i parlamentari pugliesi, gli stessi che si fecero bellamente fotografare quando andarono a chiedere attenzione al ministro Piantedosi all’indomani degli arresti nell’ambito dell’inchiesta “Codice interno” a Bari, chiedessero ai loro colleghi liguri di fare la stessa cosa.

Perché, se bisogna sorvegliare, bisogna farlo sempre. Sia al Sud che al Nord. Sia a sinistra che a destra. Eppure il viceministro della Giustizia, Francesco Paolo Sisto, anche lui presente in quella foto, ieri è sembrato meno preoccupato. Le sue dichiarazioni sono state di tutt’altro tenore rispetto all’anatema che nella stessa aula del Consiglio comunale di Bari ha invece proferito contro l’amministrazione Decaro che la stessa Procura aveva definito «determinante nell’aiutare gli inquirenti a liberare la città».

Tornando a ieri, Sisto ha commentato: «A botta calda, chiedere le dimissioni mi sembra strumentale. Con la cautela che il garantismo impone, sono sicuro che Toti saprà spiegare le sue ragioni». Come sarebbe stata bella la stessa difesa per la sua città, per la sua gente. E invece no. A Bari, per Forza Italia, tutti mafiosi. Con tanto di manifesti affissi in centro (quello frequentato da migliaia di turisti, per intenderci), con la parola MAFIA scritta a caratteri cubitali. Dunque, per Bari la denuncia un atto dovuto. Per la Liguria “aspè, belle belle, mo’ vediamo”. Ma siamo sicuri che i nostri, a Roma, lavorino per noi? Perché, se così non fosse, andassero a farsi eleggere in Liguria.

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