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Dalla Francia una lezione per tutti noi

La Francia ha una storia infinita di mobilitazione e rivoluzione a differenza dell’Italia dove il pensiero e l’azione rivoluzionaria sono risultati sempre episodici e mai frutto di una maturazione collettiva. La Repubblica Napoletana del 1799 si concluse con l’impiccagione dei rivoluzionari che erano tutti giovani figli dell’aristocrazia. Contestualmente vi furono repubbliche locali. Famosa quella di Altamura, denominata, per questo, Leonessa di Puglia. Ma tutte ebbero un rapido e triste epilogo.

Il guaio è che quei conati di rivoluzione furono il frutto di azioni isolate di minoranze intellettuali assolutamente staccate dal popolo che rimaneva indifferente. Il popolo era abituato a essere schiavo della gleba, comunque sfruttato da tutti i sovrani e dominazioni che si succedevano, costretto a vivere in una condizione al limite dell’umano e spesso animalesca, non riuscendo nemmeno a comprendere cosa stesse succedendo, perché e chi fossero quegli uomini e quelle donne che cercavano di sostituirsi a chi c’era prima. Per il popolo il destino di avvilente fatica non sarebbe cambiato. E quindi l’indifferenza che talora diventava reazione feroce nelle mani dei restauratori dell’ordine antico. Lo stesso Mazzini non riuscì ad andare oltre i circoli di intellettuali. Garibaldi si affidò ai principi e generali preoccupati di conservare il proprio. Carlo Pisacane, in quel di Sapri, venne trucidato con i suoi compagni: erano 300 giovani e forti e sono morti, racconta la spigolatrice, testimone, suo malgrado, di tanto eccidio.

E che dire del brigantaggio? Francesco Saverio Nitti ne riconobbe il carattere popolare e proto rivoluzionario. Esso nacque come reazione allo sfruttamento da parte dei nobili. Ma non divenne mai un movimento autenticamente rivoluzionario. Oscillò tra reazione borbonica e cieca violenza sabauda ma non riuscì a diventare un movimento collettivo. Qualche anno dopo ci provarono gli anarchici internazionalisti ispirati da Bakunin. Nel triangolo San Lupo-Letino-Gallo Matese, sul Matese, un gruppo di anarchici guidati da Carlo Cafiero e Errico Malatesta, provò ad accendere la scintilla della rivoluzione. L’epilogo non fu dissimile. Famose le parole di Malatesta che provò ad arringare i contadini: «Non volete fare la rivoluzione, futtitivi». Ecco, questa frase credo sia la sintesi tanto spietata quanto efficace degli inutili conati di rivolta o ribellione prodottisi in Italia e al Sud. È mancata da sempre la coscienza civica in Italia ed al Sud. E tale mancanza non è stata frutto del caso. Essa fu il frutto delle decisioni delle classi dirigenti di mantenere il popolo nell’ignoranza. È mancata la cultura, in Italia. La cultura che diventa coscienza di classe, coscienza rivoluzionaria, consapevolezza che in talune situazioni bisogna scendere in campo e magari pagare di persona.

Si spiega così la vittoria della sinistra in Francia che ha bloccato la “marea nera” attesa anche in Italia. Si spiega così la decisione del presidente francese, davanti al pericolo, di mandare il paese alle urne. Si spiega così la formidabile risposta della Francia che, ahimè, difficilmente riuscirà a modificare gli equilibri in Italia. Al di là della soddisfazione per lo scampato pericolo prodottasi in casa nostra tra gente di sinistra e progressisti, il mio convincimento è che in Italia la storia dell’indifferenza continuerà sovrana con i cacicchi, di destra e di sinistra, che su di essa costruiranno il loro potere ed i loro moderni feudi. Insomma, se una lezione si può trarre dalla splendida domenica francese, questa non può che riguardare la necessità di mandare finalmente a scuola gli italiani perché si liberino dalle catene dell’indifferenza, dalla voglia di “aggiustare” le cose, dalla tentazione di sopravvivere comunque vada. Una sfida da giganti che fa tremare i polsi. Il guaio è che, se mi guardo intorno, non vedo che lillipuziani intenti a legare Stato e Nazione con mille corde per dominare entrambi. Merci, France. Bonne chance, Italie.

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