Home Editoriali Orientamenti Stem e la policy maker per ridefinire i gap territoriali

Orientamenti Stem e la policy maker per ridefinire i gap territoriali

Negli ultimi anni si assiste sempre di più alla divulgazione dell’acronimo Stem (science, technology, engineering and mathematics) diventato sempre più meritevole di attenzione soprattutto per il ruolo strategico che tali discipline giocano in relazione alle nuove richieste di figure professionali e soprattutto alle richieste di mercato, in cui cresce l’esigenza di dare maggiore ruolo ai dati come strategia di policy maker.

Analizzando i dati dell’ultimo report Istat 2024 sui livelli di istruzione e i livelli occupazionali si riscontrano ancora forti gap. Nel 2023, tra chi possiede un titolo terziario, il tasso di occupazione raggiunge l’84,3%, valore superiore di 11 punti percentuali rispetto a quello di chi ha un titolo secondario superiore (73,3%) e di 30 punti percentuali rispetto a chi ha conseguito al più un titolo secondario inferiore (54,1%). Il tasso di disoccupazione dei laureati, pari al 3,6%, è invece significativamente più basso rispetto a quello dei diplomati (6,2%) e a quello di coloro con basso titolo di studio (10,7%).

Il titolo di studio terziario è uno degli indicatori target del nuovo Quadro strategico per la cooperazione europea relativo al 2030. In Italia, nel 2023, nonostante la quota di giovani adulti con un titolo terziario si attesti intorno al 30%, resta ancora lontana dall’obiettivo europeo (45%) e decisamente inferiore alla media europea (43,1%). Il gap si ripercuote anche sui tassi di occupazione giovanile, in Italia si attesta all’84% contro un valore medio europeo dell’89% circa. Esaminando la quota di laureati Stem, nel 2023, il 25% detiene una laurea nelle aree disciplinari scientifiche e tecnologiche, disaggregando i dati per genere, la quota dei laureati si attesta al 37%, scende al 16,8% quello delle laureate. Anche le differenze territoriali incidono, i laureati in discipline Stem nel Sud registrano una quota del 27,5% contro il 4,4 del Nord.

Molto interessante risulta il tasso di occupazione relativo alle aree di indirizzo. Nel 2023 infatti tra i 25-64enni il 79,5% ha provenienza umanistica e dei servizi, sale all’84,2% le aree socio economica e giuridica, per le lauree Stem si raggiunge il valore dell’86,6%, resta il valore più alto con l’88,6% le aree medico-sanitaria e farmaceutica. Mentre lo svantaggio delle donne laureate rispetto agli uomini nei livelli occupazionali è ancora alto. Ampio in discipline socio-economiche e raggiunge il massimo per le lauree Stem, questo non perché ci sia una bassa incidenza d’iscritte ma le percentuali hanno incidenza a parità di macro aree Stem. Grava sul gender gap anche le ridotte posizioni occupazionali che ancora contraddistinguono il Mezzogiorno.

Resta dunque alto l’interesse verso il rafforzamento delle discipline Stem e la diffusione di una formazione culturale che contenta di affrontare la diffusione nella società odierna di maggiori stimoli verso gli aspetti quantitativi del sapere e mettere nelle condizioni i ragazzi di comprendere l’esistenza di una massa di dati che i mezzi di comunicazione ci forniscono e che possono diventare fonte di informazione. Bisogna dunque attraverso le forme di orientamento più interattivo, fornire gli strumenti di studio e di analisi della realtà che possano mettere i giovani in condizioni di facilitare i processi di scelta anche in situazioni di incertezza riguardo a più contesti.

Per la disparità di genere purtroppo siamo lontani rispetto alle medie europee, forte ancora un retaggio culturale, piuttosto che vera propensione. C’è una chiave di lettura più profonda rispetto alla parità ed è il vero dramma di genere, l’impoverimento del capitale umano del nostro Paese.

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