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Barletta, polemica in Consiglio comunale. Divaccaro: «Chiamatemi “consigliera”». Ma il presidente si oppone

«Sia chiaro che ogni passo, ogni parola e ogni comportamento, tenuti a livello istituzionale, saranno d’ora innanzi attentamente vagliati e denunciati, se lesivi della parità di genere, perché è ora che ignoranza e pregiudizio siano definitivamente superati ed accantonati». Queste le parole di Grazia Corcella, responsabile per le pari opportunità della segreteria “Azione Barletta” e dell’intero direttivo cittadino, in merito al video divulgato ieri, che riproduce un passo dell’ultimo Consiglio comunale tenutosi a Barletta, in cui è stato consumato il solito siparietto, a cui purtroppo ancora oggi si assiste frequentemente, nei confronti della legittima richiesta da parte della consigliera dell’opposizione Michela Diviccaro (avanzata peraltro con modi molto cortesi) al presidente del Consiglio comunale Marcello Lanotte, di essere definita appunto “consigliera”.

Secondo quanto emerso dal video, il presidente Lanotte, il quale l’aveva apostrofata “consigliere”, ha così risposto alla richiesta: «Posso decidere io come definirla?», continuando a definirla con il maschile “consigliere”.

«Senza che, tuttavia, l’abitudine ci impedisca di procedere con la pubblica denuncia di un abuso che non deve continuare a perpetrarsi ai danni delle donne che siedono in consiglio, che invitiamo a fare fronte comune e trasversale affinché cessi una condotta di cui siamo oltremodo stanche e stanchi. Inoltre così operando, il presidente Lanotte ha esercitato sulla persona della consigliera Diviccaro il suo potere maschile e maschilista di imporre alla stessa una definizione che riguarda il suo corpo, alla stessa evidentemente non gradita, dando chiaro il segnale che a comandare perfino sull’uso di appellativi che riguardano personalmente la consigliera, non sia affatto quest’ultima, bensì il suo interlocutore. Si tratta di una forma sottile di violenza che non può passare inosservata e che non deve ripetersi. La lingua italiana è molto chiara in proposito: se il femminile di operaio è operaia, se quello di impiegato è impiegata, non è dato di intendere perchè mai i termini che si riferiscono a ruoli sociali di maggior prestigio non debbano essere parimenti declinati al femminile. A questo punto è evidente come l’ostacolo non sia di carattere linguistico, ma di carattere socio-culturale, figlio di una cultura patriarcale che ricorda alle donne che la poltrona su cui siedono in Consiglio comunale non appartiene ad una consigliera bensì ad un consigliere», conclude Grazia Corcella nella nota.

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