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Ex Ilva, le ragioni dello sciopero. Parlano gli operai: «Cade a pezzi e si lavora male. Servono certezze»

Hanno il volto stanco e chiedono maggiori certezze per il futuro loro e delle loro famiglie. Sono gli operai dello stabilimento siderurgico di Taranto seduti per terra davanti varchi di accesso allo stabilimento, da cui transiteranno gli invitati al roadshow commerciale organizzato da Acciaierie d’Italia per i suoi principali clienti. Hanno le bandiere sulle spalle e di tanto in tanto accendono una sigaretta nell’attesa di qualche buona notizia. Sono i dipendenti diretti di Acciaierie d’Italia, quelli delle imprese dell’indotto e i cassintegrati dell’amministrazione straordinaria di Ilva. Li aspettano 24 ore davanti alle portinerie del siderurgico e noi de L’Edicola del Sud abbiamo voluto ascoltarli.

Piero Vernile

«Le nostre condizioni di lavoro sono peggiorate. Ci portiamo sulle spalle undici anni di incertezze. Cinque i governi che si sono succeduti e nessuno della politica ci ha preso a cuore. Sono dieci mila i dipendenti in cassa integrazione con Ilva in amministrazione straordinaria e più di 5mila quelli dell’indotto. Le condizioni per noi sono catastrofiche e inermi dobbiamo assistere alle solite passerelle. Quando viene in visita qualche rappresentante del Governo viene presentata un’azienda perfetta, che non inquina, ma non è così. Molto spesso non possiamo lavorare perché mancano i pezzi di ricambio; non viene fatta la manutenzione degli impianti; capita di non essere pagati; di essere messi in cassa integrazione; capita di arrivare a lavoro e se il timbracartellini non funziona siamo costretti a tornarcene a casa. Chi lavora a ciclo continuo non ha diritto agli straordinari pagati e a qualcuno è capitato che le ore di malattia siano state tramutate in ore di cassa integrazione».

Giuseppe De Giorgio

«Oggi protestiamo perché non abbiamo risposte da parte del governo in merito alle migliorie sul piano industriale e ambientale. Sono undici anni che attendiamo. La fabbrica cade a pezzi, gli impianti sono allo sbando perché non viene fatta la manutenzione. Io faccio parte degli operai che fanno la manutenzione ordinaria, ma sono più le settimane in cui sono a casa di quelle in cui lavoro. Lavoriamo a settimane alterne perché non arrivano soldi per gli investimenti e non c’è materiale e a volte lavoriamo anche solo una settimana al mese».

Gregorio Scalera

«Sono ormai undici anni che viviamo in questa condizione. Senza programmazione sul futuro e con un continuo aumento della cassa integrazione. La responsabilità secondo me è sia della multinazionale che dei governi che in questi anni si sono succeduti. Nessuno dei politici ha ascoltato il grido di aiuto di noi operai».

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