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«La sinistra si liberi per sempre della trappola del consenso. La vittoria a Bari non è scontata»

«Candidato sindaco a Bari o alle europee? Rischio remoto. Di solito quando si tratta di assegnare effettivamente i posti nelle liste, il mio nome, come per incanto, scompare. Peraltro, vedo che le autocandidature, a sinistra come a destra, abbondano. Il dopo Decaro? Non sarà facile». Michele Laforgia da diversi anni indossa i panni del battitore libero della politica pugliese e, in particolare, del centrosinistra. Con l’associazione la “Giusta causa”, che sabato prossimo festeggerà i primi cinque anni di vita con un evento pubblico che sarà presentato domani, prova ad alimentare quei dibattiti che non trovano più spazio dentro e fuori i partiti. Sia di destra che di sinistra.

Avvocato, la vittoria di Elly Schlein per la segreteria del Pd ha spostato l’asse del partito più a sinistra ma soprattutto ha riportato la politica nelle piazze, fuori dai social. Vede qualche assonanza con il lavoro svolto dalla “Giusta causa”?

«Direi piuttosto che risponde alla medesima domanda. Noi eravamo e siamo convinti, ormai da cinque anni, che il Paese abbia bisogno di abbandonare definitivamente i trasformismi, gli opportunismi, l’autoreferenzialità del ceto politico. Di ripensare al futuro. La politica è un’arte nobile e necessaria, al servizio delle persone e non viceversa. Credo che questa consapevolezza sia cresciuta anche dentro e intorno al Pd, e che il successo di Elly Schlein – prima di partecipare alle primarie neppure iscritta al partito – dipenda anche da questo. Ora, però, bisogna cambiare rotta per davvero».

Uno dei temi su cui il centrosinistra ha difficoltà a proporre una visione corale è il Mezzogiorno: non appena sembra esserci unità, ad esempio contro il progetto di Autonomia differenziata di stampo leghista, spunta qualche dichiarazione che rimescola le carte. Ultima solo in ordine di tempo quella di Giuseppe Sala (“i fondi del Pnrr non spesi dai comuni del Sud vengano assegnati alle città più efficienti come Milano”, ndr). La sinistra ha dimenticato Gramsci?

«La sinistra sconta – come e più di altri – la trappola del consenso. Se il voto non dipende più dalla condivisione di un’idea della società, ma dai benefici immediati che possono derivare agli elettori, i localismi e i particolarismi sono inevitabili. Abbiamo smesso di pensare al mondo, poi all’Europa, infine anche al Paese. Il risultato è una visione miope e politicamente suicida, soprattutto per la sinistra. Lottare per l’uguaglianza, tuttavia, non è solo ideologicamente ed eticamente necessario, ma condizione imprescindibile per il benessere di tutti. A Nord come a Sud. Questo è il senso profondo della lotta al progetto dell’Autonomia differenziata».

Il centrosinistra pugliese ha di fronte una fase di grande cambiamento: due dei suoi principali interpreti, Michele Emiliano e Antonio Decaro, salvo sorprese, termineranno le loro esperienze alla guida della Regione e del Comune capoluogo. Per di più entrambi avevano sostenuto al congresso Pd il più moderato Bonaccini. Esiste ancora la “primavera pugliese”?

«Un grande poeta del ‘900 ha scritto che Aprile, il mese primaverile per eccellenza, è il più crudele di tutti, perché “genera lillà dalla terra morta, mescola memoria e desiderio, desta radici sopite con pioggia di primavera”. Mi pare una descrizione perfetta. Non ci salverà la nostalgia per un tempo trascorso e ormai lontano, ma la volontà di guardare avanti, magari ricordando che quella straordinaria stagione di cambiamento fu possibile perché si ebbe il coraggio di rompere con le liturgie appassite dei partiti dell’epoca. Oggi i partiti, almeno quei partiti non ci sono più, ma le liturgie resistono e, da noi, non sono meno soffocanti. Non bisogna temere di metterle, definitivamente, da parte, ripartire da quanto si è fatto di buono, a Bari e in Puglia, per provare a fare meglio, con altre e altri protagonisti».

Un tema centrale continua a essere l’asse con il M5s che in Regione ha garantito stabilità. Un modello da riproporre anche per il Comune di Bari?

«Notoriamente non sono esperto di alchimie politico-elettorali e ho qualche dubbio sulla effettiva stabilità del governo regionale. Penso, tuttavia, che nei Cinque Stelle ci sia sempre stata e sia attualmente prevalente un’idea di sinistra, nel tentativo, non sempre condivisibile, di dare una risposta allo scollamento tra elettori ed eletti. A Bari, comunque, si deve dialogare con tutti: il dopo Decaro non sarà facile e non ha affatto un esito scontato, visto il consenso di cui attualmente gode la destra in tutto il Paese. I risultati delle elezioni politiche e del voto nelle regioni dovrebbero essere un monito per tutte le forze di opposizione e indurre all’unità, non alle divisioni e alle beghe da cortile».

Ogni qual volta si avvicina una competizione elettorale viene fatto il suo nome. Il prossimo appuntamento sono le europee e c’è chi la vorrebbe alla guida del Comune di Bari. Cosa dovrebbe accadere per convincerla ad accettare la sfida?

«Il mio nome viene fatto forse perché appartengo a una famiglia da sempre impegnata nella sfera pubblica e, magari, anche perché mi occupo di politica, senza incarichi di sorta, da quando ero adolescente. Ma temo che molti ne parlino augurandosi di essere smentiti, per esorcizzare il rischio che a qualcuno o qualcuna venga davvero in mente di propormi una candidatura. Rischio remoto, perché di solito quando si tratta di assegnare effettivamente i posti nelle liste, il mio nome, come per incanto, scompare. Peraltro, vedo che le autocandidature, a sinistra come a destra, abbondano. Non mi pare proprio il caso, né il momento, di aggiungermi all’elenco. Posso però garantire che la Giusta Causa è e sarà in prima fila per garantire un futuro al centrosinistra a Bari e in Puglia e, quindi, individuare nomi all’altezza delle sfide che ci attendono»..

Uno dei temi più caldi a Bari è la realizzazione dell’impianto di ossidocombustione a Modugno. Il centrosinistra sulla gestione dei rifiuti ha le idee chiare?

«Innanzi tutto, comprendendo che le emergenze ambientali non possono essere affrontate né, tantomeno, risolte su scala locale. La Puglia ha vissuto un lunghissimo periodo emergenziale e ancora oggi non è chiaro come si dovrebbe chiudere il ciclo dei rifiuti. Di certo bisogna fare di più e meglio per la raccolta differenziata, per il recupero e per la riduzione della produzione, all’origine, di materiali di scarto. La quantità di imballaggi e plastiche che continua a finire nei cassonetti è insostenibile e non dipende solo dalla scarsa sensibilità dei cittadini. Bruciare tutto è la soluzione più semplice, ma non certo la più virtuosa, a parte i dubbi sulle conseguenze per le emissioni in atmosfera. Mi pare che la posizione espressa da Antonio Decaro, su questo tema, sia condivisibile».

Lei è avvocato e in questi anni ha visto susseguirsi diverse riforme, ultima quella che porta il nome dell’ex ministro Cartabia. Tutte rigorosamente a saldo zero per le casse dello Stato. Ha senso ancora mettere mano alle procedure senza un massiccio rinforzo degli organici della magistratura e del personale amministrativo?

«Le riforme a saldo zero tendenzialmente producono risultati a saldo zero. È una legge di natura, che vale anche per l’amministrazione della giustizia. Scontiamo un ritardo ormai atavico nell’adeguamento delle strutture – materiali, di personale e digitali – all’enorme espansione del campo dei diritti e delle garanzie degli ultimi decenni. È stata una scelta politica anche questa, ovviamente, che ha prodotto risultati nefasti, non solo in materia penale. Eppure si continua a modificare compulsivamente le procedure e a moltiplicare le fattispecie di reato per decreto legge, persino per i rave musicali. Evidentemente, non è la strada giusta».

Uno dei punti cardine della riforma Cartabia è la giustizia riparativa che prevede però la nascita di centri, nell’ambito degli enti locali, in grado di attuarla. Vista la penuria di personale nei comuni non c’è il rischio che resti tutto sulla carta?

«Il rischio esiste, ma vale la pena di correrlo. La parte migliore della riforma è proprio quella che indica strade diverse dalla sanzione penale, tradizionalmente incentrata e misurata sulla reclusione in carcere. Più che di sorvegliare e punire abbiamo bisogno di riparare, di essere davvero al fianco delle vittime dei reati e non di dare in pasto all’opinione pubblica l’illusione della vendetta. L’uso esemplare della giustizia penale non ha affatto migliorato il nostro Paese, non ha ridotto i tassi di recidiva e non ci ha reso più sicuri. È ora di investire risorse in un’altra direzione».

Un intervento più volte annunciato dal ministro della Giustizia Carlo Nordio e che il governo sembra intenzionato a portare a compimento è il divieto di pubblicazione delle intercettazioni. Un limite alla libertà di stampa o l’affermazione del diritto alla privacy?

«Più che altro, un eterno ritorno, visto che se ne parla, non sempre con cognizione di causa, da qualche lustro. A me pare che la disciplina attuale, per quanto riguarda il contemperamento tra le garanzie e il diritto all’informazione, sia abbastanza ragionevole. Ciò che non trova ancora un equilibrio accettabile è, piuttosto, l’uso mediatico della giustizia penale, tuttora gravemente sbilanciata sul versante delle indagini e dal lato delle Procure. Si continua a parlare troppo delle inchieste e troppo poco dei processi e delle sentenze. Bisogna decisamente cambiare registro».

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